"Guardando le pagine del giornale e leggendo dell'incidente della volante durante l'inseguimento sono rimasta inebetita", in "un attimo sono tornata indietro nel tempo. Ricordi, immagini di quella tragica notte sono riaffiorate alla mente riaprendo nel cuore una ferita non rimarginata". Inizia con queste parole la lettera inviata alla Questura di Cagliari da Maria Teresa Spolitu, sorella del giovane poliziotto Pietro Spolitu, deceduto insieme al collega Vincenzo Fracasso durante un inseguimento di ladri il 29 febbraio del 1976.

"La volante - ricorda Maria Teresa Spolitu - si schiantò contro un pilastro di una casa a Quartu Sant'Elena in viale Colombo. I corpi dei due poliziotti furono estratti dalle lamiere contorte dell'abitacolo. Stavolta il tributo da pagare non è stato così tragico, ma le due circostanze molto simili tra loro ci presentano da una parte delle "vittime" che con zelo e dedizione alla "divisa" svolgono il loro dovere, dall'altra dei "teppisti" irresponsabili che, alla ricerca del proprio benessere materiale e la necessità di soddisfarlo, diventano schiavi del bisogno stesso illudendosi di raggiungere quella felicità effimera che li estranea, sempre più, dal proprio essere".

Il motivo della lettera, spiega la sorella del poliziotto, è quello di "per condividere e riflettere sulla concezione del bene e del male che, al giorno d'oggi, pare sempre meno adatta a spiegare le contraddizioni di un mondo che siamo soliti chiamare civile - scrive - solo chi ha vissuto in prima persona simili tragedie trova il coraggio di esporsi e di lottare anche solo con una semplice lettera nella speranza che la pubblica opinione possa essere coinvolta in una più reale e obiettiva presa di coscienza nel valutare simili fatti in cui a pagare sono delle vittime innocenti che credono e svolgono il loro dovere pronti persino a sacrificare la propria vita per il trionfo della giustizia".