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“La ripresa dei colloqui visivi con i familiari, avviata secondo quanto disposto dalla circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria lo scorso 11 maggio, non ha incontrato un particolare favore in Sardegna, almeno in questa fase iniziale. Familiari e detenuti, anche in considerazione delle forti limitazioni anti contagio Covid19, sembrano preferire le video chiamate”.
Lo afferma in una dichiarazione Maria Grazia Caligaris, esponente dell’associazione di volontariato “Socialismo Diritti Riforme” facendo rilevare che “nelle prime due giornate dei colloqui visivi, riservati peraltro esclusivamente a detenuti e familiari residenti in Sardegna, il numero delle adesioni è stato irrisorio rispetto alle attese. A Cagliari-Uta solo una ventina di persone ha incontrato i parenti, a Massama, Sassari e Nuoro, una decina. Più facile lo svolgimento dei colloqui nelle Colonie Penali, dove sono previste aree attrezzate all’aperto ma anche in quel caso le richieste per ora sono state davvero rare”.
“A scoraggiare ristretti e parenti – sostiene Caligaris – sono le oggettive difficoltà a poter fruire dei colloqui visivi. I familiari ritengono sia meno dolorosa una videochiamata piuttosto che una visita ai propri cari, dopo mesi di distacco, con mascherina, senza poter avere un contatto fisico, mantenendo una distanza di un metro e con un divisorio in policarbonato. Ciò soprattutto quando la persona privata della libertà è affetta da problemi psichici e sente come indispensabile una stretta di mano e/o un abbraccio”.
“Secondo quanto prevede il protocollo anticovid19 del DAP, concordato a livello locale anche con le direzioni sanitarie dei singoli Istituti, il singolo familiare adulto – ha sottolineato l’esponente di SDR – dopo aver prenotato il colloquio, come peraltro accade sempre, giunto in Istituto, prima di accedere con mascherina, garantito il distanziamento sociale, deve compilare un’autocertificazione, che attesta di non aver viaggiato negli ultimi 14 giorni, di non aver contratto il virus e di non essere entrato in contatto con un infetto. Deve quindi sottoporsi al controllo della temperatura e provvedere alla detersione delle mani”.
“Il colloquio di 60 minuti – conclude Caligaris – in molti casi, date le condizioni oggettive, si limita ad argomenti formali. La distanza impedisce l’intimità e rende difficile dialogare serenamente delle problematiche personali e familiari. Il fatto di poter incontrare solo un parente adulto alla volta impedisce di poter avere contatti con i figli minori. Mamme e/o papà rischiano così di allontanarsi ulteriormente dai loro bambini. Insomma, aldilà delle buone intenzioni e dello sforzo dei Direttori e di tutti gli operatori penitenziari, l’organizzazione dei colloqui non sembra poter soddisfare i bisogni delle persone private della libertà. Da lunedì inizieranno invece le pratiche e le funzioni religiose anche con la celebrazione della Santa Messa. C’è però ancora il limite all’accesso dei volontari, SDR ritiene che con i dovuti accorgimenti sia arrivato il momento di consentire di riprendere le attività. Far trascorrere troppo tempo senza permesso di accesso ai volontari significa favorire l’isolamento del mondo carcerario dalla società. Invitiamo quindi il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria – conclude Caligaris – a farsene interprete nei confronti del DAP e aspettiamo fiduciosi una risposta”.