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Un altro passo avanti nella direzione della trasparenza nel carrello della spesa. Da ieri anche i prodotti Made in Italy ottenuti con pomodori coltivati e trasformati in Italia saranno finalmente riconoscibili sugli scaffali dalla dicitura “Origine del pomodoro: Italia”.
E’ scaduto infatti il termine di 120 giorni previsto per l’entrata in vigore, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 47 del 26 febbraio 2018, del decreto interministeriale per l’origine obbligatoria sui prodotti come conserve e salse, oltre al concentrato e ai sughi, che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro.
Le confezioni di tutti i derivati del pomodoro, sughi e salse prodotte in Italia dovranno infatti avere d’ora in poi obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture:
a) Paese di coltivazione del pomodoro: nome del Paese nel quale il pomodoro viene coltivato;
b) Paese di trasformazione del pomodoro: nome del paese in cui il pomodoro è stato trasformato.
Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE.
Per consentire lo smaltimento delle scorte – continua la Coldiretti – i prodotti che non soddisfano i requisiti previsti dal decreto, perché immessi sul mercato etichettati prima dell’entrata in vigore del provvedimento, possono essere commercializzati entro il termine di conservazione previsto in etichetta.
L’etichetta di origine è una misura di trasparenza per produttori e consumatori dopo che dall’estero – rileva la Coldiretti – sono arrivati nel 2018 il 15% di derivati di pomodoro in più rispetto allo scorso anno secondo elaborazioni Coldiretti su dati Istat relativi ai primi cinque mesi che fotografano una invasione straniera di ben 86 milioni di chili provenienti nell’ordine da Stati Uniti, Spagna e Cina.
La nuova normativa entra in vigore mentre è in corso la campagna di raccolta del pomodoro in Italia (maggior produttore dell’Unione europea) che quest’anno dovrebbe assicurare un raccolto attorno alle 4.750.000 tonnellate (si prevede un calo del 14%), con una buona qualità in termini di gradi Brix, ovvero di contenuto zuccherino, ma rese all’ettaro sotto le medie degli ultimi anni. Si prevedono riduzioni anche negli altri Paesi: superiori al 20% in Spagna e Portogallo; meno sostenuto a livello mondiale (-6,6%), nonostante la previsione di un meno 40% per la produzione cinese di pomodoro da industria, mitigata da un +14% della produzione californiana.
Per la Sardegna, dopo le perdite dello scorso anno dovute al troppo caldo e alle scarse precipitazioni, quest’anno si stanno verificando ingenti perdite dovute alla troppa e violenta pioggia, e quindi ci sarà un crollo rispetto ai 320mila quintali, media della produzione nell’isola degli ultimi anni, ben inferiore ai 700mila di circa 25 anni fa. Nonostante il numero dei produttori sia in calo (se ne contano intorno ai 60) è leggermente aumentata la superficie destinata a questo prodotto, che si aggira sui 40 ettari ubicati nell’oristanese e nel Medio Campidano.
“Si compie un altro passo importante nella direzione auspicata dai produttori e consumatori – evidenzia il presidente di Coldiretti Sardegna Battista Cualbu – quello di avere dei prodotti con una etichetta trasparente che indica l’origine del prodotto. E’ la madre di tutte le battaglie di Coldiretti perché riteniamo immorale, oltre che dannoso dal punto di vista economico, che i nostri prodotti, oltre ai problemi dovuti alle bizze climatiche, debbano subire la concorrenza sleale di prodotti che non svelano l’origine spacciandosi come italiani e dei quali non si conosce nulla dei metodi di produzione, trasformazione e conservazione”.
In questo settore la Sardegna ha fatto passi da gigante grazie all’accordo di filiera della Arpos che ha dato vita al marchio “Io sono sardo”. Nato nel 2011 sta producendo sempre più prodotto con il proprio marchio, passando dai 500 quintali iniziali ai 19mila dello scorso anno. Un prodotto certificato, di qualità e garantito, in cui si segue una attenta e severa produzione e si seleziona il prodotto già sul campo, certificato anche dal fatto che il pomodoro conferito all’industria ha solo un margine del 10 per cento di scarto. Nulla rispetto alle percentuali che si riscontrano anche nel resto d’Italia.
“Gli sforzi dei nostri di produttori, senza l’obbligo dell’etichetta trasparente, sono vanificati dai flussi di prodotto, sempre maggiori, che arrivano dall’estero e si piazzano negli scaffali senza una carta di identità con prezzi bassi disorientando il consumatore costretto ad acquistare a scatola chiusa – sottolinea il direttore di Coldiretti Sardegna Luca Saba -. Per questo ci battiamo con forza per la trasparenza in etichetta e seppur accogliamo positivamente questo nuovo traguardo siamo sempre preoccupati per tutti gli altri prodotti ancora senza identità”.