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Dietro ai numeri ci sono le storie e le persone.
Ci sono i timori, le ansie, i sintomi, le diagnosi, la cura, la speranza di guarire, la paura di morire.
Gian Paolo Melis è uno dei musicisti più apprezzati in Sardegna, per il suo modo di essere oltre che di suonare.
È stato assunto come impiegato e trasferito da Poste Italiane ad Alzano Lombardo, comune di 14 mila abitanti distante 7 km da Bergamo, epicentro di un’epidemia che ha scosso il mondo e cambiato il destino della Storia.
Partiamo dalla fine.
<<Mio padre è morto all’Ospedale San Raffaele di Milano a 63 anni, lucido fino alla fine e in costante contatto con noi attraverso le video chiamate del suo cellulare - dice il giovane di Teti -. Un post pubblicato da mia sorella su Facebook ha scatenato un’ondata sincera di affetto e solidarietà nei nostri confronti, che non dimenticheremo mai>>.
Epilogo di un percorso racchiuso in un racconto che serve per capire.
<<Nel cuore di agosto dello scorso anno a mio padre è stato diagnosticato un tumore. Da quel momento abbiamo intrapreso ogni strada possibile alla ricerca di una guarigione e abitare in questa parte d’Italia ci favoriva per accompagnare un progresso che piano piano cominciava a dare i suoi frutti.
Lui, da combattente e ottimista, ha affrontato ogni tappa della terapia con lo spirito giusto e con risultati incoraggianti>>.
Olindo e la moglie Flaviana soggiornano a casa del figlio, che rappresenta un’opportunità considerata la vicinanza con le strutture sanitarie.
<<Quando i primi casi di Coronavirus hanno cominciato a minare la situazione in Lombardia, immediatamente abbiamo adottato tutte
le misure di sicurezza e le opportune precauzioni per evitare il contagio.
Il 5 marzo ho preso comunque la decisione di acquistare i biglietti e riportare mio padre a Teti, dove senz’altro sarebbe stato più al riparo dai rischi. Purtroppo è successo qualcosa di inaspettato>>.
Gian Paolo si accorge che a metà giornata, quando i bagagli sono già in macchina e il viaggio di rientro sta per iniziare, che la madre accusa i sintomi della febbre.
<<Non ho esitato un solo istante ad annullare tutto: il sospetto che questa complicazione avesse ‘quel’ nome temuto non poteva tradursi nel rischio di portare in Sardegna, tra i familiari e la mia comunità quello che nel territorio in cui vivevo stava già seminando lutto e sofferenza>>.
Quasi subito la situazione si complica quando, anche per Gian Paolo, il termometro segna temperature altissime e inizia un lungo calvario di 13 giorni.
Lindo prende in mano la situazione e da forza a tutti, rassicura i familiari in Sardegna, esterna le qualità per le quali è benvoluto da chiunque.
<<Non avevamo dubbi sulla natura del nostro star male: era lo stesso degli altri che aveva colpito anche noi.
Ho chiamato tutti i numeri possibili e immaginabili, ci sono stati dei momenti dove stavo veramente male, ma non è mai venuto nessuno, e mi dicevano dal 112 e 118 che non avendo affanno non potevano farci il tampone, di stare a casa e prendere tachipirina.
E quando spiegavo che in casa c’era un paziente oncologico, rispondevano che non potevano fare nulla, di stare attenti noi. Non ci accudiva nessuno eppure stavamo male.
Un incubo che non auguro a nessuno>>.
Gian Paolo e la mamma si riprendono piano piano, ma la situazione precipita il 19 marzo, giorno di San Giuseppe, quando le difese già fragili di Lindo cedono, si affatica il suo respiro e il ricovero diventa una scelta inevitabile.
<<Nemmeno una guerra è così feroce. La gente muore in casa, non riceve più assistenza, chi ne esce con febbre e tosse, come abbiamo fatto noi, è miracolato>>.
Gian Paolo ha deciso di rendere pubblica la sua storia privata perché questo dramma è molto più di quello che si vede e di ciò che ci raccontano.
Perché non sai come arriva e quando arriva, perché non assume per tutti le stesse forme e per ognuno si manifesta in maniera diversa, perché sei solo quando lo devi affrontare e anche se chiami e alzi quel poco di voce che hai nessuno ti sente.
Gian Paolo ha deciso di condividere la sua sofferenza per dire a tutti quelli che ancora non hanno capito che basta un attimo di disattenzione ed è la fine, che bisogna chiudersi in casa, evitare i contatti, amare se stessi per salvare anche le persone che si amano.
Gian Paolo ha deciso di mettere in piazza il suo dolore per fare in modo che non capiti agli altri ciò che è capitato a lui.
<<Quando si muore di questo male non hai nemmeno il conforto di chi ti vuole bene. Sei solo. Noi ci siamo battuti perché mio padre non diventasse cenere in una delle tante urne, perché potesse trovare sepoltura nella terra che amava>>.
L’ultimo viaggio di Lindo, in solitudine, ha fatto scalo in diversi aeroporti della penisola prima che la bara attraversasse le strade di Teti, con le persone affacciate alla porta e alle finestre per fare il segno della croce.
Ha scritto Costantino Tidu, sindaco del paese:
<<Per la prima volta le esequie di un nostro concittadino avvengono in un contesto così surreale: in assenza del rito religioso e del partecipato e solidale abbraccio della comunità che avrebbe voluto accompagnare Lindo in questo suo ultimo viaggio.
Tutti noi ci stringiamo in un forte abbraccio a chi in questo momento soffre per questa scomparsa.
Non permettiamo al dolore di farci chiudere in noi stessi ma con speranza e amore accettiamo le sfide che la vita ci riserva>>.