L’associazione Socialismo Diritti Riforme (Sdr) e il coordinamento regionale Garanti locali delle persone private della libertà hanno scritto una lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, al ministro della Giustizia Alfonso Bonaede, al presidente della Regione Sardegna Christian Solinas e a tutti i parlamentari sardi. La lettera è stata firmata da Maria Grazia Caligaris, volontaria Sdr e 

Paolo Mocci del coordinamento regionale Garanti locali delle persone private della libertà.

 

“Mentre tutto cambia – si legge nella missiva - c’è un luogo, il carcere, dove il covid-19 ancora non ha fatto aprire gli occhi. Negli Istituti Penitenziari dell’isola niente è cambiato, anzi. Mentre si attendono serie iniziative in grado di ridurre i rischi, assistiamo a scelte del ministero della Giustizia che non possono essere condivise. Non è tempo di norme restrittive.

Non è accettabile, e risulta oltre i limiti umani, negare la detenzione domiciliare a chi, con conclamati problemi psichici, si è allontanato alcuni mesi fa da una Comunità terapeutica perché era scompensato. Sono troppi oggi i detenuti che non hanno una casa, perché senza famiglia, così è per tantissimi stranieri, e quindi non possono fruire della misura alternativa. L’uso del braccialetto elettronico suona come una presa in giro perché i dispositivi non sono disponibili. Lo Stato ancora una volta non rispetta le norme e lo fa impunemente nei confronti di chi sta scontando una pena perché condannato o privato della libertà in attesa di giudizio.

Davanti a questo quadro sensibile, che coinvolge agenti penitenziari, funzionari giuridico pedagogici, amministrativi, comandanti e direttori chiediamo una mini amnistia. Il limite deve essere quello dei 3 o 4 anni, pur escludendo i reati più gravi. Occorre un atto di coraggio decisivo sapendo che un’emergenza sanitaria in un Istituto Penitenziario dell’isola potrebbe portare al collasso l’intero sistema sanitario regionale.

 

Lo Stato sia coerente con se stesso. È evidente che per chi vive la perdita della libertà la limitazione dei colloqui con i familiari, la sospensione delle lezioni scolastiche e la possibilità di fruire le iniziative di volontariato sono un aggravio di pena a cui nessuno sembra voler dare importanza. Stare in cella non è come stare a casa, soprattutto perché gli spazi contenuti come sono quelli di una stanza condivisa da due o forse tre se non quattro persone estranee l’una a l’altra, non permettono nessun momento di privacy. 

La vicinanza non sempre favorisce i rapporti umani, specialmente quando avvengono tra persone fragili con disturbi comportamentali, con l’ansia, con tendenze antisociali. Quando la tossicodipendenza si unisce a tendenze autolesioniste, quando il pensiero dei propri parenti lontani o assenti rende più facile cadere in depressione. Quando anche per fare una doccia è necessario fare una lunga fila e l’acqua che sgorga dai rubinetti non è sempre “chiara e fresca”. C’è poi il problema che aprire la finestra non è sempre possibile e l’aria ristagna.

Le presenze di detenuti nelle case Circondariali di Cagliari-Uta, Sassari-Bancali e nella Casa di Reclusione di Oristano sono oltre il limite regolamentare. La situazione è al limite a Nuoro, Alghero e Tempio Pausania.

Non c’è tempo da perdere. I rappresentanti istituzionali e il governo si attivino. Il Capo dello Stato si è espresso con chiarezza. Così hanno fatto i magistrati e gli avvocati. Il Ministro Bonafede ascolti e agisca. Non deve prevalere un giustizialismo immobilista che genera tensioni e accresce le ansie di tutti. Liberi e ristretti”.