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Lunghi capelli neri su camicia bianchissima, aspetto eccentrico, a tratti enigmatico, ma sempre con il sorriso sulle labbra e la battuta pronta. Si è presentato così Arthur Aristakisyan, protagonista indiscusso della seconda serata algherese del “Sardinia Film Festival”, dedicata al cortometraggio.
Accompagnato dal traduttore e mediatore culturale Antonio Vladimir Marino, il maestro originario della Moldavia non ha nascosto il suo grande apprezzamento per la passione cinematografica incontrata nell’isola. «Se riuscissi a fare soldi mi trasferirei in Sardegna e aprirei qui una mia scuola di cinema», ha dichiarato il regista in un vivace scmabio di battute con la conduttrice Rachele Falchi. «Il vero cinema, per me, è quello classico italiano – ha detto – nei confronti del quale in Russia c’è sempre stata una grande fascinazione».
Una passione per la cinematografia italiana che Arthur Aristakisyan ha coltivato fin da ragazzo, quando frequentava la biblioteca di Mosca. Un amore che, come ha raccontato lo stesso regista, lo portò persino a rubare un volume, Non ci volle molto a sgamarlo: era stato l’unico a prendere in prestito quella copia dalla biblioteca nell’arco di vent’anni.
Per il regista, la scintilla che lo ha fatto appassionare è stata quella di “Andare ai cimiteri”. Da bambino gli capitava di osservare le fotografie dei defunti mentre passava di fronte alle tombe. Quei volti per lui non erano solo immagini, ma erano vere e proprie storie, rappresentazioni di vite che potevano essere raccontate. «Erano dei fantasmi che si incarnavano di fronte ai miei occhi», ha affermato egli stesso nel corso della masterclass dal titolo evocativo, “Cosa pensano i morti”.
Un'altra prima grande passione, quella per gli album di famiglia e i film amatoriali fatti in casa. L’intera produzione del regista russo sembra essere rivolta a dare voce agli ultimi. Il primo film è dedicato al mondo dei poveri, il secondo agli abbandonati che vivono in una comune, e il terzo film, in lavorazione, è sui pazzi. Ma Aristakisyan rifiuta l’accostamento alla problematica sociale, rivendicando piuttosto un approccio artistico rispetto alle crude realtà: «Ho semplicemente visto dei santi in queste persone. È come se avessi fatto l’amore con loro attraverso la macchina da presa».