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Niente processo bis per l’ex comandante della Costa Concordia Francesco Schettino, condannato a sedici anni di reclusione per omicidio colposo plurimo, naufragio colposo, lesioni colpose plurime, abbandono della nave e false comunicazioni. Nella tragedia all'isola del Giglio morirono 32 persone.
Tra i passeggeri della nave da crociera, Eleonora e Morgan, una coppia algherese unita da 25 anni. Gestiscono insieme un salone di parrucchieri nella città catalana e proprio per il loro lavoro, il 13 gennaio del 2012, erano sulla Costa Concordia con le loro due figlie di sette e quattro anni.
“Vinsi le selezioni per un reality che sarebbe stato girato all’interno della nave. Si chiamava Professione look maker, eravamo in dieci dalla Sardegna ed io facevo parte di quel gruppo – racconta Eleonora - andai con la grinta di vincere. In quell’esperienza le uniche persone che desideravo al mio fianco erano le mie figlie e mio marito, non avrei voluto nessun altro”. Sul volto di Morgan appare un sorriso amaro e spiega: “Era un viaggio che non volevo fare, soffro molto il mal di mare. È quel tipo di vacanza che avrei evitato. Però per mia moglie e per sostenerla, in quella che si prospettava come una grande possibilità e una bella avventura, decisi di accompagnarla con la speranza di ricredermi”. E così decisero di fare la loro prima crociera insieme, con le loro figlie di quattro e sette anni. Eleonora si sarebbe dovuta sfidare con altri 299 parrucchieri riuniti da tutta Italia. In palio cento mila euro da spendere nel proprio salone.
Subito dopo l’imbarco Eleonora partecipò a una riunione della produzione per cui le esercitazioni per le emergenze furono rinviate all’indomani mattina.
L’IMPATTO. I quattro erano al ristorante: “Mia figlia si lamentò, mi disse di sentire freddo. Decisi, in attesa delle portate, di portarla in camera per prendere una giacca. Mio marito rimase solo al ristorante perché le portai con me entrambe”. Dopo cinque minuti avvenne l’impatto. La nave si piegò. Tutti i piatti, le posate, le bottiglie si rovesciarono provocando un rumore assordante. Morgan non si rese subito conto della loro posizione. Era al centro della nave, non aveva una visuale completa; lo stesso racconta: “Mi guardai intorno e la situazione era totalmente opposta a un attimo prima. Tutto capovolto, gente completamente in panico, persone che si tiravano anche i capelli. L’acqua scendeva come cascate dagli ascensori a causa del rovesciamento delle piscine dell’ultimo piano. La mia preoccupazione, mentre ero là, era riuscire a ritrovare la mia famiglia in una nave mastodontica di cui non conoscevo nulla.”
Eleonora, per pochissimi attimi non si trovò in quegli stessi ascensori durante l’impatto. Li aveva appena lasciati per raggiungere la sua camera. Mentre cambiava sua figlia, sentì la nave inclinarsi verso l’alto “In quel momento la nave salì sopra le secche. In un attimo andò via la luce, feci sedere le bambine nel letto e mi affacciai dal balcone trovando uno spettacolo surreale: la nave completamente adagiata sugli scogli – spiega Eleonora e continua - In lontananza una chiesa, quella dell’Isola del Giglio. Mi feci il segno della croce e dissi ‘Gesù aiutaci tu’. Indossai un sorriso, mi feci forza e rientrai dalle bambine con finto entusiasmo e le dissi ‘Siamo di fronte a una bella città! Adesso prendiamo le scialuppe e scendiamo giù per fare un bel giro!’”. Nonostante le urla delle persone, Eleonora rimase lucida e prese in mano la situazione. Capì di dover tenere aperta la porta, il blackout avrebbe potuto rendere difficoltosa l’apertura della stessa. Le tre aspettarono l’arrivo di Morgan che nel frattempo, dal quarto piano, cercava di orientarsi in una nave grande quanto tre campi di calcio, in cui era salito appena due ore prima per di ritrovare la sua famiglia. Morgan, con le mani tra i capelli sussurra: “Io non so chi mi abbia portato da loro”.
Immediatamente pensarono di mettersi in salvo, comportamento purtroppo non adottato da alcune vittime del naufragio. Con la grinta che la contraddistingue Eleonora ricorda: “Gli addetti continuavano a parlare di blackout e noi non ci abbiamo mai creduto. Gli ripetevo in continuazione ‘Vi siete incagliati, non è un blackout!’ ma loro non capivano”. Il loro istinto gli suggerì di non dare ascolto a un addetto della nave che gli intimò di aspettare, nella loro camera, le disposizioni del comandante; Eleonora non accettò quell’ordine e gli rispose “Ma tu senti il mio accento? Io sono sarda! Senti come parlo?! Io mi sono incagliata un sacco di volte con le barche e i gommoni, ora è successa la stessa cosa ma in modo esponenziale. Dobbiamo andarcene via e anche tu devi metterti il giubbotto di salvataggio! Io in camera non ci sto, stiamo andando via”, il tempo di cambiare velocemente le scarpe e si precipitarono verso le scialuppe.
LA CORSA VERSO IL SALVATAGGIO - Raggiungendo il ponte quattro persero l’orientamento. Spauriti, incontrarono un membro dell’equipaggio, un angelo che assistette e collaborò alla salvezza della famiglia algherese. Raccontano: “L’uomo a bassa voce, mentre ci sistemava i giubbotti di salvataggio, ci disse: ‘Andate in quella direzione, troverete le scialuppe. Fermatevi là, ma non dite a nessuno che ve l’ho detto io, perché mi gioco il posto di lavoro’”. I due raccontano anche, che durante quel tragitto, furono testimoni di tutte quelle persone ferme nelle loro cabine in attesa di un ordine da parte del comandante, Eleonora tiene a ribadire: “Ordini che non arrivarono mai. Come ben sappiamo, lui si era già messo in salvo con i suoi stretti sopra uno scoglio”. Arrivati sul ponte, trovano solo una decina di persona su 4229 passeggeri.
Eleonora nonostante fu una delle prime ad accedere alle scialuppe ricorda con quanta insistenza abbia richiesto di salire ai membri addetti dell’equipaggio. La sua fu una lotta contro chi, inutilmente, attendeva gli ordini di Schettino. La stessa racconta: “ Gli dissi ‘Sta aspettando gli ordini di un comandante che non c’è! O lei mi apre il passaggio o io mi butto in mare con le bambine’”.
Lo avresti fatto davvero?
“Certo! Mi fermai perché mi dissero che saremmo potute morire d’ipotermia a causa dell’acqua fredda, ma io ero pronta a tutto per salvare la mia famiglia. C’erano delle ballerine che non dimenticherò mai. Si buttarono da poppa con una corda; le incontrai poi all’interno della scuola del Giglio… i loro corpi erano completamente tumefatti - Eleonora al ricordo di quelle ragazze non riesce più a trattenere le lacrime - Mi ha fatto male. Volevo aiutarle in qualsiasi modo ma non potevo. È stato terribile”.
Durante quei momenti avete pensato che sareste potuti morire?
Senza pensarci prende parola Morgan: “Mai! Il pensiero costante è sempre stato quello di trovare un modo per sopravvivere. Morire non è mai stata un’opzione.” E aggiunge Eleonora: “Per questo attaccai la persona che si occupava delle scialuppe. Ho tolto una grinta e una forza che non credevo nemmeno di avere.”
LE DICHIARAZIONI - Nel 2017 è arrivato l’arresto nel carcere di Rebibbia per Schettino. Lo stesso è stato condannato in via definitiva a sedici anni per omicidio colposo plurimo, naufragio colposo e abbandono della nave. A causa dell’incidente le vittime furono trentadue. Per voi giustizia è stata fatta?
“Assolutamente no. Con lui dovevano essere condannate tutte le persone che hanno favorito il suo comportamento all’interno della nave durante i soccorsi. Sono morte troppe persone e ci saremmo potuti salvare tutti - Eleonora spiega - La nostra fortuna fu quella di ancorarci negli scogli grazie al terribile vento che spostò la nave in quella direzione. In caso contrario, saremmo potuti sprofondare in un fondale di 70 metri e morire tutti”.
Cosa pensate, invece, di Costa Crociere?
“Anche loro hanno avuto delle responsabilità nella vicenda. Perché non ha funzionato il generatore di emergenza? La luce avrebbe sicuramente agevolato i soccorsi! Ma come quello, non funzionarono molte cose quella sera. Tra l’altro, ci chiamarono una volta arrivati a casa, furono incommentabili. Dopo essersi accertati che non avessimo riportato grandi problemi mi proposero una nuova vacanza con uno sconto del 30%. Mi arrabbiai tantissimo! Risposi che con tutto quello che fummo costretti a vivere e tutto quello che perdemmo nella nave, come minimo, avrebbero dovuto regalarcela. Ma non volevamo nemmeno pensare in quel momento di risalire all’interno di una nave. – Eleonora, molto amareggiata, continua il suo racconto – e ti dirò ti più su quella sera, l’equipaggio preparò dei sacchi neri, come quelli utilizzati per la spazzatura alti un metro, con all’interno i soldi del casinò e dei bancomat posizionati nella nave. Questi sacchi furono caricati in dei gommoni provenienti dalla terra ferma. Il primo pensiero dell’azienda fu per i soldi e non per i suoi clienti. Il personale non si nascondeva durante questo traffico e quindi noi vedemmo e sentimmo tutto.”
Cosa vi rimane di quel giorno, dopo undici anni?
“Fortunatamente nessun trauma. Anche le nostre figlie sono molto tranquille e affrontarono bene i momenti a seguire. Sappiamo che molti superstiti, da quel giorno, sono in cura con degli psicofarmaci; alcuni colleghi non riescono più a entrare nei saloni per fare il loro lavoro; molti non resistono all’ascolto di urla di bambini o donne. Noi possiamo davvero ritenerci fortunati. Anzitutto la posizione della nostra cabina ci consentì di vedere l’Isola del Giglio e di capire che eravamo vicino alla terra. Tutti quelli dall’altra parte vedevano il mare aperto e non immagino la paura che provarono non capendo quale fosse il problema. Grazie a quello avemmo la prontezza di capire e muoverci. E poi ci fidammo di noi stessi e delle nostre sensazioni ed è servito per tornare a casa quasi illesi”.