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“Ci siamo accordati la sera alle 18. E’ stata una mia idea perché è andato a chiedere i soldi a casa della mia ragazza”. E’ un racconto dell’orrore quello che emerge dai verbali che registrano la confessione di Christian Fodde, ritenuto esecutore materiale del delitto di Manuel Careddu, il 18enne di Macomer assassinato sulle rive del lago Omodeo l’11 settembre 2018.
Tra il 16 e 17 ottobre Fodde, Riccardo Carta e Matteo Satta (i maggiorenni del gruppo) parlano al procuratore Ezio Domenico Basso, al sostituto procuratore Angelo Chelo e ai carabinieri che hanno condotto le indagini e li hanno arrestati una settimana prima. Il corpo di Manuel è ancora seppellito nelle campagne di Costaleri, a Ghilarza, dove verrà rinvenuto alcune ore dopo dai militari che lo cercano da un mese. Le parole degli assassini sono riportate dall'edizione odierna de La Nuova Sardegna.
Le ultime parole pronunciate da Manuel, secondo Fodde, furono: “Mi ha infamato G.”, G.C., la ragazza del ‘commando’, minorenne all’epoca dei fatti così come C.N., ora 18enne.
“Mi ha infamato G.” significa che la ragazza aveva detto qualcosa che aveva messo Manuel in cattiva luce agli occhi del gruppo. Ma cosa?
IL MOVENTE. Nei giorni precedenti il delitto, sulle rive del lago Omodeo, si era tenuto un rave party che aveva destato non poca preoccupazione fra le autorità locali e le forze dell’ordine. La festa non era autorizzata e dopo alcune ore carabinieri e polizia erano intervenuti per sgomberare il bivacco compiendo anche alcuni arresti per droga. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, in quella situazione, Fodde e G.C., che avevano una relazione, avevano maturato un debito di 600 euro con Manuel che aveva venduto loro sostanze stupefacenti. Careddu aveva incassato appena 170 euro sul totale e, spazientito, nel pomeriggio dell’11 settembre si sarebbe recato a casa della ragazza dove avrebbe parlato con la madre del debito accumulato dalla giovane. Sarebbe questo, secondo quanto raccontato da Fodde, il movente dell’omicidio. “Non ho sopportato che abbia chiesto i soldi alla madre di G. e che mi abbia minacciato di andare a chiederli ai miei”.
IL DELITTO. Secondo il racconto di Fodde fu lui, insieme a G.C., ad accompagnare Manuel in macchina nel pomeriggio dell’11 settembre alla stazione dei treni di Abbasanta, da dove partì per Cagliari facendo poi ritorno nella stessa Abbasanta alle 19. In quel breve lasso di tempo nacque il piano per far fuori il ragazzo. “Ci siamo accordati la sera verso le 18 – racconta l’indagato –. E’ stata una mia idea perché è andato a chiedere i soldi a casa della mia ragazza. Eravamo rimasti d’accordo che ci saremmo visti più tardi”, e così “ho pensato di ammazzarlo. Più tardi ho visto Carta e gli ho chiesto se conoscesse un posto per ucciderlo. Ho proposto a tutti gli altri vari modi per ammazzarlo”. Gli assassini valutarono se fosse più semplice strangolarlo, poi optarono per un’altra soluzione.
Fodde e compagni presero in consegna Careddu e lo portarono sulle rive dell’Omodeo. L’assassino recuperò una pala e una picozza ed è con questa, che teneva nascosta sotto la felpa, che sferrò il primo colpo alla vittima mentre a poca distanza l’uno dall’altro camminavano sulle sponde del lago. “Non urlava” ricorda il giovane. Solo poche parole: “Mi ha infamato G.”. “Carta ha tenuto Manuel a terra, io ho chiesto a C. di legarlo, ma lui non l’ha fatto. Si è rifiutato. Poi l’ho colpito con la pala che avevo preso dalla moto Ape di Riccardo. Dall’alto verso il basso, mirando alla testa”.
“Ho colpito solo io – prosegue la confessione –, ho chiesto a C. di colpirlo ma non l’ha fatto”. I giovani legarono prima le mani, poi i piedi di Manuel e infine mani e piedi insieme avvolgendo il corpo dentro un incerato. “Non si muoveva più, l’abbiamo trascinato io e C. per qualche metro tirandolo per le mani e poi abbiamo cercato di scavare una buca”. Ma l’idea di seppellire il cadavere vicino al lago si rivelò difficile da attuare, i ragazzi non riuscirono a scavare abbastanza a fondo e allora ricoprirono il corpo con la poca terra smossa e delle pietre. Lo avrebbero spostato più tardi nel terreno di Costaleri.
LA VERSIONE DEI COMPLICI. Il racconto di Riccardo Carta differisce in più punti da quanto raccontato da Fodde. “Non conoscevo Manuel – così davanti ai magistrati –. Parlai con C. e mi chiese se conoscevo un posto dove portarlo per spaventarlo. Non mi disse che volevano ucciderlo”. La sera dell’11 settembre Carta si recò a Soddì, nel terreno di famiglia dove avrebbe dovuto aspettare il gruppo composto dalla futura vittima e dai restanti carnefici. Carta avrebbe dovuto fingere di essere intenzionato a saldare il debito degli amici con Careddu. Una volta arrivati scesero dall’auto tutti tranne la ragazza. Carta racconta che Fodde e Careddu erano alle sue spalle quando udì un colpo e, voltatosi, vide il 18enne di Macomer riverso a terra. “Ho visto la picozza che Christian teneva nella cintura. Manuel era vivo, cercava di parlare ma non ci riusciva”. Carta conferma che l’invito rivolto da Fodde a C. che rifiutò di colpire il giovane agonizzante. “Io vedo la scena e vomito. Mi rifiuto di scavare la buca per seppellirlo.
Secondo Matteo Satta, che per tutto il tempo rimase lontano dal lago e custodì i telefonini degli altri, Christian, Riccardo, C. e G. “parlavano assieme su come ammazzare Careddu. Davanti a me hanno deciso che io avrei custodito i telefonini. Ho accettato perché non pensavo che lo avrebbero ucciso davvero, pensavo che lo avrebbero picchiato”. Nei giorni successivi gli amici parlarono del delitto e, ricorda Satta, “erano sempre tranquilli, sui fatti ridevano e ci scherzavano sopra. Avevano concordato cosa dire se interrogati”.