“I catalani, i sardi e tutte le altre nazioni senza Stato devono sostenerci, perché le nostre richieste nazionali vanno al di là dei nostri confini, per condividere con tutti il sogno di un'Europa unita in un mondo in pace”. 

Questo l’appello lanciato dal catalano Josep Vall, vice-presidente della Coppieters Foundation di Bruxelles e direttore esecutivo della Fundació Josep Irla di Barcellona, con cui è iniziata sabato scorso la conferenza internazionale “Diritti e Sovranità nell’Europa contemporanea”, che si è tenuta al Villino Ricci di Sassari e promosso dall’Istituto Camillo Bellieni di Sassari in collaborazione con la Coppieters Foundation.

“I catalani combattono per i loro diritti nazionali – ha affermato Irla – ma anche per un'Europa dei popoli liberi dove scozzesi, corsi, baschi, gallesi, catalani o sardi siano in grado di far sentire la propria voce. Ed è per questo che vogliamo un'altra Europa, un’altra Unione Europea, in cui il Parlamento sia in realtà la sede della sovranità popolare della cittadinanza europea. Coesistendo, ma superando anche le sovranità nazionali”. 

L’incontro, introdotto dalla presidente Is.Be Maria Doloretta Lai e moderato da Gianni Garrucciu, ha visto anche l’intervento di Nicolas Levrat, docente dell’Università di Ginevra, che ha illustrato un paradosso tutto europeo, per il quale popoli come gli sloveni, i croati o i cechi, che in precedenza sottostavano a una forma di regime, siano stati poi accettati come Stati europei e membri dell’Unione, mentre a catalani, scozzesi e sardi non è riconosciuto questo diritto.

“L’articolo 1 del Trattato sull’UE – ha sottolineato l’accademico – parla di “Un’unione sempre più stretta tra i popoli”, concetto riconfermato dalla Corte di giustizia europea proprio in occasione della Brexit nel 2018. Stando ai trattati, popoli come i catalani e gli scozzesi dovrebbero uscire dagli Stati per poter partecipare alla codeterminazione che sta alla base dell’Unione”.

Tra i precursori che hanno posto l’accento sulle criticità dell’attuale conformazione dell’Unione Europea furono proprio due grandi sardisti come Bellieni e Simon Mossa. Nell’intervento del ricercatore Antonello Nasone, il sardismo fin dalle origini presenta alcune indicazioni di carattere teorico e pratico per un futuro assetto dell’Unione, declinato non come insieme di Stati, bensì come una sorta di aggregazione tra comunità etniche.

A detta di Michele Pinna, direttore scientifico Is.Be, “È la direzione certo non facile di un’Europa dei popoli, di un nuovo dialogo nell’orizzonte dei diritti, delle tutele e delle pari opportunità di riconoscimento. La strada verso l’apertura a una nuova stagione di rinegoziazione dove tutte le lingue, le culture, le diversità possano avere  la stessa dignità proprio come indica la Carta europea delle lingue e delle culture minoritarie e regionali del ’92".

Sul piano linguistico, il docente di Storia contemporanea Didier Rey, dell’Università della Corsica, ha portato l’esperienza delle tre lingue parlate nella sua isola dal 1850 in poi: l’italiano, il francese e il corso. La prima è sparita per volontà politica francese e ora si assiste alla lotta di resistenza del corso, che da un lato è presente nei media come radio e tv, dall’altro è sempre meno utilizzata nel parlato quotidiano.

“Una società seria che voglia affrontare il problema del crimine – ha spiegato l’avvocato Attilio Pinna – deve fare un serio investimento sociale, pensando a quanto siano incisivi e decisivi il welfare, l’istruzione, l’alimentazione e l’occupazione, gli strumenti dell’educazione e della prevenzione rispetto alla repressione e dell’inasprimento di pene”.

La conferenza ha goduto del sostegno della Fondazione di Sardegna e della RAS ed è stata finanziata dal Parlamento Europeo, che ha concesso autonomia riguardo al contenuto e alle opinioni dei relatori.