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Mozione Ugl contro il processo di deindustrializzazione in Italia: a sostenere con voce il documento è la segreteria sarda, capeggiata da Andrea Geraldo: “Il processo di deindustrializzazione coinvolge il nostro Paese sin dagli anni 90' – dice il sindacalista - infatti proprio in quel periodo ebbe inizio la nefasta opera delle privatizzazioni in Italia che rese oltre 100 MLD E.
Dal 1992 a 2002 il Tesoro ha gestito direttamente la vendita di aziende per 66,6 MLD di E, mentre l'IRI, sempre sotto il controllo del Tesoro ha operato vendite per 56,4 MLD di E.
Solo le operazioni di ENI ed ENEL fruttarono circa 62 miliardi, Telecom fruttò 13 miliardi, la gestione delle autostrade venne affidata al gruppo Atlantia della famiglia Benetton, privatizzando di fatto asseti strategici per il Paese. I benefici furono evidenti per gli acquirenti, i quali però si guardarono bene da effettuare investimenti e sviluppo sulle stesse reti, producendo così un inevitabile degrado. Ci sono state operazioni anche sulle banche, come Imi-Sanpaolo e Banco di Napoli, quest'ultima venduta per 32 milioni di e successivamente ristrutturata e venduta nuovamente da BNL per 1000 milioni di E. Addirittura anche la Banca d'Italia ha avuto passaggi di quote azionarie verso banche straniere (Bnp Paribas, Credit Agricol, Banco Bilbao ecc.) cedendo di fatto un pezzo di sovranità nazionale.
Ma queste privatizzazioni possiamo affermare che hanno reso un reale guadagno allo Stato italiano? A distanza di più di venti anni anche economisti convinti sostenitori delle privatizzazioni cominciano ad ammettere che sono costate molto, forse troppo, si stima un mancato introito tra dividendi e rivalutazioni aziendali per oltre 40 MLD di €. Un conto salato per il nostro Paese, ma che fu necessario per favorire le manovre neo liberiste che avrebbero consentito l'accesso dell'Italia nell'EURO, ma soprattutto avrebbero consentito un guadagno per pochi.
Ma non è finita, forse c'è proprio un filo conduttore tra le privatizzazioni delle partecipate e la vendita di primari marchi italiani sia dell'industria alimentare che della moda. Alcuni esempi sono: Perugina, Antica Gelateria del Corso, Buitoni, San Pellegrino, Fiorucci, Peroni, Riso Scotti, Eridania, Del Verde, Carapelli, Star Sperlari, Gucci, Bottega Veneta, Valentino, Frau, Versace, ma anche Wind, Acciaierie Lucchini, Italcementi, Pirelli e molte altre firme simbolo nel mondo della nostra capacità manufatturiera.
Tutto questo – aggiunge Andrea Geraldo - sembra far parte di una strategia politica pianificata, un lento ma inesorabile processo di desertificazione industriale. Non è una crisi, ma un cambiamento pianificato del sistema economico, dove si chiudono imprese per motivi di sostenibilità ambientale, sanitaria, sociale. Si preferisce elargire un'elemosina di cittadinanza, piuttosto che investire per creare le condizioni più idonee per il risanamento ambientale, per effettuare le bonifiche e per creare nuovi impianti industriali all'avanguardia. Si parla di economia circolare più come enunciazione di slogan che effettiva volontà di salvaguardare l'ambiente, si preferisce ipocritamente spedire tonnellate di rifiuti e farli lavorare nei termoinceneritori austriaci, tedeschi e danesi, piuttosto che operare la chiusura del ciclo
nei luoghi dove vengono prodotti. Si impongono nuove tasse sulla produzione della plastica, mettendo al rischio un'intera filiera con migliaia di posti di lavoro, senza aver previsto processi di reindustrializzazione a favore delle imprese coinvolte.
Sicuramente nel corso del 2018 le statistiche del Censis ci dicono che il numero dei lavoratori occupati è aumentato, ma ci forniscono anche un altro dato molto inquietante, il numero delle ore lavorate è diminuito e questo significa che gli stipendi sono diminuiti, andando ad incrementare una nuova categoria di poveri, lavoratori ai limiti della sussistenza.
È per questi motivi che l’organizzazione sindacale Ugl – rimarca Andrea Geraldo segretario territoriale Ugl Chimici - intende attuare ogni azione utile a denunciare tale fenomeno, si rende necessario pertanto che tutti gli attori politici della Regione Sardegna convertano in un progetto di strategie sinergiche con i sindacati maggiormente rappresentativi sul territorio per agevolare la pianificazione di un vero rilancio dell’economia industriale regionale e dell’intero Paese”.