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C’è un mare di folla che genera ondate di brusii e chiacchiericci. C’è il profumo delle caldarroste e dei dolci, l’odore del fumo dei falò accesi qua e là nelle piazze dei rioni.
C’è un suono potente, cadenzato, un incedere vigoroso e solenne che arriva da lontano, e tutto intorno la folla ammutolisce all’improvviso in una strana forma di religioso silenzio. Ma non c’è niente di religioso – o forse sì – nell’antica processione pagana che fa tremare le strade di Santa Rughe e Santu Bustianu, a Mamoiada, dove essere Mamuthones o Issohadores è una questione di genetica perché così, da quelle parti, è sempre stato e sempre sarà.
Sotto le pelli e quei sonazzos che appesantiscono il passo, protetto dall’espressione grottesca e primitiva della visera nera ottenuta dall’ontano o dal pero selvatico, si cela lo sguardo di tanti giovani mamoiadini che, emulando gli adulti, fin da bambini hanno imparato a interpretare i passi di una danza che esprime meglio di qualsiasi altra cosa l’anima di una comunità operosa che ha saputo far parlare di sé nel mondo.
Nei giorni di festa, ad Autunno in Barbagia o a Sant’Antonio e il martedì di carnevale, è facile incrociare, sotto una di quelle maschere, lo sguardo dei fratelli Antonio e Salvatore Mele, 31 anni. O l’uno o l’altro, mai entrambi, “perché le tradizioni le viviamo nel profondo ma le attività di famiglia qualcuno dovrà pur seguirle”.
Le attività di famiglia sono il bar di via Vittorio Emanuele e la cantina sottostante, che custodisce il vino ottenuto dalle uve della vigna di Su Astru e su Orvu, un appezzamento di 4 ettari che sorge alle porte del paese, sulla strada per Gavoi. “Altri filari – spiega Salvatore –, li abbiamo in terreni più piccoli a Basarule, una vigna con 35 anni di storia, e Tarasunele, nei pressi della chiesa campestre di Loreta Attesu, un terreno che produce uva da 80 anni”.
“La produzione del vino, a casa, l’abbiamo sempre conosciuta – racconta Antonio, titolare dell’azienda –. Dal momento in cui nostro padre Francesco aveva avviato il bar avevamo necessità quantomeno della provvista da servire ai clienti”.
L’esperienza vera e propria come viticoltori, però, nasce molto più tardi e sono proprio i due fratelli ad avviarla affacciandosi a un mercato per loro nuovo e ricco di sorprese.
Mamoiada, adagiata fra le colline della Barbagia di Ollolai, è la terra del cannonau e della granazza, vitigno autoctono. La cantina sociale nata negli anni ’60 ha generato una nuova cultura che ha creato economia grazie all’intraprendenza dei produttori che col tempo si sono imposti autonomamente creando una vera e propria “scuola”. I risultati non hanno tardato ad arrivare e Mamoiada, oggi, è uno dei centri con più cantine registrate nell’isola, quasi venti, riunite attorno al tavolo di un’apposita associazione, Mamojà. Senza contare i vignaioli che lavorano ridotte quantità ottenendo comunque superbi risultati.
Attorno alla produzione vitivinicola gravita poi un mondo fatto di artigiani, imbottigliatori, enoteche, ristoranti e b&b che soddisfano le richieste degli imprenditori del vino e delle migliaia di turisti che ogni anno visitano il paese richiamati non più solo dall’immutato fascino del carnevale.
E’ in questo contesto che nasce la Cantina Mele, ultimo gioiello della vicenda enologica mamoiadina. Nel 2010 il primo fondamentale investimento con i terreni di Su Astru e su Orvu, un tempo adibiti a pascolo, finalmente destinati alla coltivazione della vite. L’idea iniziale è quella di conferire le uve alle principali e affermate cantine del paese, pur vinificando anche in proprio. L’ampio favore incontrato dal vino sfuso commerciato in tutta la Sardegna, però, convince i fratelli Mele a puntare sempre di più sull’attività.
“Abbiamo messo a norma la cantina” spiega orgoglioso Salvatore mentre fa gli onori di casa accompagnandoci fra le sale. I murales che ne decorano le pareti sono memoria di un tempo in cui quei locali erano adibiti a sala da ballo. “Abbiamo dovuto lavorare anche per questo, per salvaguardarli, perché le norme igieniche imposte dalla Asl sono particolarmente restrittive ma non avevamo intenzione di soffocare sotto una mano di tinta un ricordo così particolare del passato della nostra comunità”.
E nelle botti di rovere e castagno, incorniciate dai colori dei dipinti raffiguranti scene di vita quotidiana e di lavoro nei campi, prende vita Vinera. “Il nome che abbiamo dato al nostro vino riprende un’espressione tipica di Mamoiada. Da noi, quando si assaggia un buon vino, per sottolinearne il gusto, si esclama: Custa est una vinera!, questo è davvero un ottimo bicchiere. Speriamo che anche il nome sia di buon auspicio”.
Fin da subito, il mercato, ha dato ragione alla strategia imprenditoriale di Antonio e Salvatore. Le bottiglie di cannonau in purezza, rosso e rosato, sono già approdate in numerosi locali dell’isola e anche in Toscana, Lombardia, Veneto, Basilicata, Belgio e Germania.
“Abbiamo voluto creare un brand che pur inserendosi nella tradizione locale raccontasse qualcosa di nuovo – così Antonio Mele –. Nel logo della cantina è rappresentato un corvo che domina un paesaggio di montagna. Ci siamo rifatti al nome della località in cui nasce il vino, Su Astru e su Orvu, infatti, significa La Fortezza del Corvo. La stessa etichetta delle bottiglie, per geometrie e colori, vuole essere in qualche modo di rottura e attirare fin da subito l’attenzione dell’acquirente che osserva le bottiglie in un’esposizione”.
Vinera rosso è corposo, avvolgente, strutturato nei sentori e intenso nel colore. Vinera rosato è appagante e a ogni sorso sprigiona la freschezza della brezza gentile che nelle notti d’estate accarezza le valli che circondano il paese. “E’ proprio lo sbalzo termico fra la notte e il giorno a fare la fortuna delle uve di Mamoiada” spiegano i fratelli. Bastano pochi bicchieri, ed è subito buon umore.
Perché Vinera, oltre che un vino, è un modo di essere. E conserva nella sua complessità, nel suo sapore così avvincente, nel suo tono così caldo e deciso, il carattere forte della terra che lo ha prodotto e il vigore delle mani che lo hanno lavorato. Nella Cantina Mele, e a Mamoiada, l’ospite è accolto con un garbo che dà valore non tanto alla bevanda, quanto allo spirito con cui la si gusta. E mentre i calici tintinnano, fra racconti di storie, aneddoti e leggende popolari, in una sera di settembre al riparo di una cumbessia del santuario di San Cosimo, il profumo della carne e dei formaggi offerti da un gruppo di amici mi accompagna e mi culla nel sorseggiare quel nettare che diviene motivo di incontro, dialogo, discussione.
Antonio e Salvatore Mele, come tanti altri giovani sardi, hanno radici forti che li legano alla loro terra e sulle quali hanno costruito un progetto ancora giovane ma dagli ariosi orizzonti. E’ la coraggiosa intuizione di chi crede nel patrimonio ereditato da una tradizione ben codificata, ma lo fa guardando, con avveduto entusiasmo, a strade sempre nuove da percorrere. Non vi resta che sorprendervi. Non vi resta che sorprenderci. Salute!