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È morto, a 83 anni, Graziano Mesina. L'ex primula rossa del banditismo sardo era malato da tempo.
Proprio ieri era stato scarcerato dopo che era stata accolta l'istanza di differimento pena per motivi di salute presentata al tribunale di sorveglianza di Milano dalle avvocate, Beatrice Goddi e Maria Luisa Vernier.
Mesina si trovava nel reparto di Pp San Paolo di Milano dove era stato trasferito dal carcere di Opera nel quale era detenuto da due anni e aveva compiuto 83 anni lo scorso 4 aprile. Malato da tempo, sono state sette le istanze per chiedere il differimento della pena, per motivi di salute, presentate al tribunale di sorveglianza di Milano da parte delle sue avvocate e sempre respinte sino all'ultima accolta ieri. Dal dicembre del 2021 si trovava in carcere per scontare 24 anni ricalcolati sulla condanna a 30 anni per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Prima di essere catturato a Desulo, aveva passato un anno e mezzo in latitanza. Era stato arrestato e condotto prima nel carcere nuorese di Badu 'e Carros, poi da due anni era rinchiuso in quello milanese di Opera.
LE PAROLE DELLE LEGALI
"Le sue condizioni di salute erano già da tempo precarie ma negli ultimi due mesi sono precipitate" avevano fatto sapere le due legali di Mesina parlando di "patologia oncologica ormai diffusa, incurabile, in fase terminale".
"A causa della malattia egli non può più camminare, non si alimenta, non parla, ha difficoltà a riconoscere le persone" avevano aggiunto Goddi e Vernier, ricordando inoltre come le richieste di trasferimento in un carcere in Sardegna, "dove la vicinanza con i familiari avrebbe potuto quantomeno favorire le cure e alleviare i patimenti", fossero state sistematicamente respinte.
L'AVVOCATA GODDI: SU DI LUI UNA SORTA DI ACCANIMENTO
"Fino all'ultimo Graziano Mesina è rimasto in carcere. Su di lui c'è stato una sorta di accanimento" ha detto all'ANSA una delle sue avvocate, Beatrice Goddi, che insieme a Maria Luisa Vernier ha seguito l'ex primula rossa del banditismo sardo nelle sua vicende giudiziarie, in merito al decesso, questa mattina alle 8 nel reparto pp dell'ospedale San Paolo di Milano. "Siamo molto dispiaciute e anche contrariate perché si poteva scarceralo prima, almeno un mese fa - aggiunge - oggi ci stavamo preparando per andare a trovarlo con alcuni familiari e organizzare il suo trasferimento in Sardegna, invece c'è stato questo epilogo".
IRENE TESTA, GARANTE DETENUTI: "VERSO DI LUI VENDETTA DI STATO"
"Verso Mesina vendetta di Stato. Hanno aperto le porte del carcere per mandarlo a morire nel reparto detentivo ospedaliero". Lo scrive su Fb la garante dei detenuti della Sardegna, Irene Testa, in merito alla morte di Graziano Mesina.
"Da oltre un anno le sue legali presentavano istanze rispetto alla sua grave condizione sanitaria. Ma non c'è stata pietà né senso di umanità - aggiunge ancora Testa - Non c'è stato il rispetto del diritto che consente anche a chi ha sbagliato di poter coltivare affetti e di poter scontare la detenzione nel luogo di residenza. Lo Stato ha applicato con lui la vendetta. Come anche 'Grazianeddu' fece da ragazzino cresciuto in una cultura difficile. Appunto. Ma è grave che la vendetta sia stata praticata dallo Stato in un Paese dove lo stato di diritto deve essere il faro della giustizia".
LAI (PD): “FAR MORIRE MESINA LONTANO DALLA SARDEGNA È UN’INUTILE CRUDELTÀ”
"Non è come un suicidio in carcere, ma far morire lontano dalla Sardegna un malato terminale come Mesina è una inutile crudeltà", dichiara il parlamentare sardo del PD Silvio Lai, intervenendo sul caso dell’ex latitante morto a Milano dopo anni di detenzione fuori dall’Isola.
"Garantire a tutte le persone un fine vita dignitoso vicino ai propri familiari è un diritto che deve essere garantito a tutti, anche a chi, come Graziano Mesina, aveva un debito da pagare con la giustizia".
Lai sottolinea come per un sardo scontare la pena lontano dall’isola rappresenti "un’ulteriore condanna", e che nel caso di Mesina "da tempo c’erano le condizioni per permettergli di finire i suoi giorni nella sua terra".
"Che chi ha problemi di salute terminali non possa concludere la propria esistenza nella maniera più dignitosa – conclude – chiarisce quale livello di civiltà un Paese voglia rappresentare".