...e poi c’erano quelli del Folklore, della cosiddetta ‘cultura popolare’: se ne contavano a migliaia e non se ne sente più parlare.

Ballavano sui palchi e tra la gente, al ritmo di un organetto o accompagnati dal suono di uno strumento di canne stagionate che qualcuno raccoglieva con la complicità della luna.

Cantavano nei cori e durante le processioni, impastavano voci e versi in accordi secolari che restituivano al tempo il suono del passato, si inerpicavano su note azzardate inseguiti da chitarre adattate che ne intuivano l’approdo.

Indossavano abiti della tradizione e ogni paese aveva il suo da mostrare, pieno di colori stampati su stoffe e tessuti, di pregio o da lavoro, abiti che raccontavano storie e appartenenze, così come i gioielli che riflettevano la luce del sole.

Anche di questi l’assenza è ‘spettacolare’, il silenzio assordante, il vuoto da colmare.

Nel giorno in cui si leva una sola voce per dare forza alle arti dello spettacolo in sofferenza, non va dimenticato l’immenso patrimonio di una Sardegna che vive se tornano a vivere le associazioni che con cura lo hanno protetto, amato e salvaguardato.