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Cartoline d’altri tempi, come l'ex casa circondariale di Buoncammino, a Cagliari: oggi dal di fuori, appare come una ‘scatola semivuota’, ma dentro quella struttura, tra quelle mura con 120 lunghi anni alle spalle, ci sono centinaia di racconti, che riaffiorano tra i ricordi di un assistente capo coordinatore della Polizia Penitenziaria che ha lavorato per tanti anni in quel compendio: tra le tante cose, tra quei corridoi circondati dalle diverse celle, "nel 1993 salvammo una vita umana ad un giovane detenuto che ebbe un malore improvviso, con i colleghi, medici e infermieri in servizio, gli fu praticato un massaggio cardiaco, successivamente con l’ambulanza lo trasportammo in ospedale e si salvò. Questo episodio me lo ricordo come fosse ieri, quella notte salvammo una vita umana".
Non è stato un unico caso isolato, a Buoncammino numerosi gli avvenimenti segnati dal tentativo di farla finita e stroncati sul nascere dagli stessi poliziotti: purtroppo tv e giornali davano in pasto alla cronaca in prevalenza le morti per suicidio dei carcerati.
La visita dentro quell’immenso labirinto di prigionia, prosegue nel silenzio assordante delle celle, lo sguardo parte dal basso verso i piani alti dove si scorge la rete a maglie larghe sospesa tra un piano e l’altro per “evitare che qualche detenuto preso dallo sconforto si potesse lanciare nel vuoto”, poi le celle (vengono chiamate camere, n.d.r.), a misura d’uomo, dove spesso per sei reclusi era davvero difficile conviverci ogni giorno.
Oggi quegli spazi angusti, non più regolamentari, appaiono come veri e propri tuguri: letti a castello, materassi rigorosamente in gomma piuma, cassettiere e armadietti ingialliti che spesso arredavano anche i servizi igienici trasformati e adibiti a minuscoli cucinini. All’esterno, tra il filo spinato perimetrale arrugginito del muro di cinta, i camminamenti per i piantonamenti dei poliziotti che sovrintendevano campo da calcetto e spazi per “l’ora d’aria”.
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