Sono passati 64 anni dal 12 agosto 1957. In quella data infausta, il paese di Buddusò fu scosso dal dolore del lutto causato dal dramma di un incendio devastante che costò la vita a due allevatori del paese.

Lo ricorda l'ex sindaco del paese e attuale vicepresidente del Consiglio regionale Giovanni Antonio Satta, particolarmente toccato da quella tragedia visto il legame di parentela con le vittime. "Il 12 agosto 1957 - scrive Satta in un lungo post su Facebook - due nostri compaesani, Giovanni Antonio Sanciu noto Totoi Zanzu (35 anni) e Giovanni Serafino Porcu noto Serafinu Brocco (68 Anni), perirono in un incendio che devastò quasi tutto il territorio del comune di Buddusò. Entrambe le vittime di quella giornata funesta sono legate a me da vincoli di parentela in quanto il primo era fratello di mia madre, il secondo fratello della nonna di mia moglie".

A oltre sessanta anni di distanza dall’immane tragedia, spiega l'ex primo cittadino buddusoino "quel giorno rimane una profonda ferita, marchiata a fuoco nella nostra memoria. Nessuno seppe mai con certezza quali fossero state le cause, ma come spesso accade, si ebbe il sospetto che il rogo fosse di natura dolosa. Furono le campane ad annunciare alla popolazione la devastazione che era in corso, per l’intera giornata il suono rimase martellante".

"In quegli anni non esisteva il servizio antincendio - ricorda Satta -. Il compito di combattere contro le fiamme era affidato ai volontari che si armavano di coraggio con l’ausilio di mezzi inadeguati e del tutto insufficienti ad affrontare una simile tragedia. In quel periodo i civili offrivano il proprio sostegno trasformandosi in crociati di una guerra impossibile, imbracciavano una frasca o uno straccio imbevuto d’acqua e ingaggiavano uno scontro impari. Era come usare una piuma per abbattere un gigante".

"Quel giorno - prosegue il racconto del numero due del Consiglio regionale - le fiamme impetuose erano partite dai terreni comunali di "Sa Zura", aiutate nella loro terribile marcia dalle alte temperature estive e da un forte vento e in breve si erano propagate fino ad arrivare a lambire il centro abitato, nella parte alta del paese, generando un ambiente infernale, da “Sa Nughe" a "Su Padru" attraversando i terreni di "Messer Bainzu"".

"Una spaventosa palla di fuoco che nel suo veloce percorso distruttivo rendeva il cielo giallo. In tutto il centro abitato l’aria diveniva incandescente e pregna di una spessa coltre di fumo che oscurava la luce del sole. In un clima rovente in tutti i sensi si era generato il panico e lo sconforto nella popolazione residente, poco avvezza a gestire situazioni del genere. L’attività economica prevalente in quel periodo era la pastorizia. I pastori in presenza di incendi cercavano di mettere al riparo il gregge evitando una morte certa degli animali che erano l’unica fonte di sostentamento della famiglia".

Così si consumò il dramma nel dramma: "Il 12 agosto 1957 Giovanni Antono Sanciu e Giovanni Serafino Porcu decisero di andare in soccorso degli animali e cercare di limitare i danni da una devastazione annunciata. Io non ero ancora nato - spiega Satta -. Sono venuto al mondo l’anno successivo . Mia madre , Giovanna Sanciu, sorella di Giovanni Antonio (Totoi), decise di chiamarmi con il nome di suo fratello. Da bambino le persone che conoscevano l’origine del mio nome mi chiamavano Totoi. Io, ignaro dell’accaduto non capivo il perché, finche una mia zia mi raccontò quanto accaduto quel giorno a "Sa Banziga"".

"Dal giorno in cui sono venuto a conoscenza ho cercato di approfondire la dinamica dei fatti. Mi raccontarono che mio zio si offrì volontario per cercare di mettere in salvo il gregge di un conoscente che pascolava le sue pecore in località Sa Banziga, nei terreni percorsi dall’incendio. Zio Totoi, appena udite le campane, aveva sentito il dovere di correre in soccorso. Io ho sempre considerato, mio Zio Totoi un eroe. Un uomo coraggioso sorretto da un innato altruismo, "che con giovanile slancio e sovrumano sprezzo del pericolo consapevolmente affrontò un’atroce morte", come recita la frase incisa sulla lapide della tomba, scritta dalla moglie trentaduenne Elisabetta Marroni, che da quel giorno rimase vedova del suo giovane sposo con un figlio in tenera età (Antonio, di un anno ) e in attesa del secondo (Totoi Sanciu) che verrà alla luce tre mesi dopo la tragedia".

"Anche a Giovanni Serafino Porcu toccò la stessa sorte - racconta l'ex sindaco -. Anch’egli, nell’intento di mettere in salvo le mucche a pascolo nei terreni di “S’ Olteri”, andò incontro ad un’atroce destino, accerchiato dalle fiamme cadde a terra esausto. La tragedia del 1957 per me e per quanti l’hanno vissuta in prima persona, così come quelle avvenute ad Anela nel 1945, a Curraggia nel 1983, a San Pantaleo e Porto San Paolo nel 1989 e cosi, purtroppo, tante altre , sono il simbolo della morte e della devastazione che un incendio può cagionare".

"Ho voluto scrivere queste poche righe per onorare la memoria dei miei congiunti ma anche perché credo che il dolore provocato dagli incendi debba servire come monito per quanti imperterriti continuano a seminare terrore e devastazione bruciando il futuro della nostra terra".