Arroccato a un’altitudine di 1.000 metri, Fonni è il comune più alto dell’isola. Adagiato alle pendici del Gennargentu, la sua posizione gli ha consentito di divenire uno centri dalla più forte vocazione turistica dell’isola grazie anche agli impianti sciistici di risalita situati sul Bruncu Spina e ai piedi del Monte Spada.

La storia delle maschere tradizionali del carnevale fonnese è di grande interesse e appassiona tutti, anche fuori dai confini della nostra isola. Ripropone, secondo la tesi più accreditata, il tema classico dei riti di morte e rinascita tipici dei culti dionisiaci. Urthos e Buttùdos mutuano travestimenti traslati dal mondo animale e valorizzano uno degli aspetti culturali più affascinanti di questo centro, vera roccaforte di identità.

Una testimonianza di Max Leopold Wagner, studioso di fama mondiale, risalente ai primi decenni del secolo scorso, riporta quanto segue: “Sono maschere cenciose e sudicie, ricoperte di pelle, tinte di fuliggine, che l’ultima sera di carnevale cantano parodie carnevalesche e impauriscono ragazzi e ragazze”. La Chiesa vietava l’uso della maschera bestiaria soprattutto se munita di corna, per il suo traslato figurativo demoniaco.

S’Urthu è una maschera costituita da una grossa pelle di montone che ricopre quasi interamente la persona che la indossa. Il volto e le mani sono tinte di nero, ricavato dal sughero bruciato e sfregato sulla pelle. Scarponi in pelle e cambales (gambali) completano l’abbigliamento. S’Urthu è circondato in vita da una grossa catena, guinzaglio strettamente tenuto da uno o più conducenti, denominati Buttùdos, i quali lo stimolano aizzandolo ad avventurarsi sulla gente e in particolare sulle ragazze che, quando non riescono a svincolarsi dalla morsa della maschera, sono costrette a subire le sue esuberanze. L’azione improvvisa a scapito della folla caratterizza l’esibizione delle maschere fonnesi, che mettono i presenti nella costante situazione di doversi riparare dalle loro incursioni.

Buttùdos indossano un cappotto di orbace sopra abiti di velluto, scarponi e gambali di cuoio e anche il loro viso viene annerito. Il rumore dei campanacci che sos Buttùdos portano in modo trasversale e appesi a una cinta di pelle, annuncia l’arrivo e prepara alle suggestioni che la rappresentazione evoca sempre con successo.

Nel 1998 l’associazione culturale Urthos e Buttùdos ha organizzato un convegno durante il quale diversi studiosi si sono espressi sulle possibili origini della maschera fonnese. Sono emerse alcune ipotesi che hanno reso affascinante il percorso oggetto di ricerca. In quell’occasione Dolores Turchi aveva escluso che s’Urthu potesse rappresentare l’orso vissuto 25.000 anni prima (nel Paleolitico), ipotesi accreditata da alcuni, e che si potesse trattare, invece, dell’Orcus latino, dio dei morti.

Per rafforzare la sua teoria, la studiosa di Oliena faceva riferimento anche alle denominazioni con cui si identificavano tombe preistoriche come Sa Domo de s’Orcu (la Casa dell’Orco) o Sa Prejone de s’Orcu (la Prigione dell’Orco).

Completano il repertorio del Carnevale fonnese su Ceomo, un fantoccio di stracci dalle sembianze umane che viene trascinato per le vie del centro e processato prima di essere messo al rogo da sas Mascheras Limpias, che rappresentano la bellezza, l’allegria, il bene, l’eleganza e si contrappongono agli Urthos e Buttùdos, simbolo del brutto e del male.