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Filippo Figari definisce la “Madre dell’ucciso” <<una figura bronzea, conclusa in un blocco unitario, come nel rigore di una geometria assoluta e profondamente pensata>>.
L’immagine scarna del dolore umano, che diede la fama al ventitreenne Francesco Ciusa, appare in una lontana Biennale d’Arte a Venezia: esile, potente nella forma e nell’espressione, essenziale nei piani e nei dettagli con un respiro di eternità che ci riporta al ricordo di lontanissime immagini.
Sui fatti che ispirarono l’opera Remo Branca raccoglie una testimonianza diretta dello scultore:
<<A Funtana ‘e littu vidi spuntare una madre dal ciglio di un monteurlante, come ombra nera di malaugurio, avvicinarsi al figlio ucciso e poi il suo chiuso silenzio accanto al cadavere. E’ li che ho incontrato La Madre dell’Ucciso. Non ho più avuto pace, mi aveva preso la smania di raccontare quel silenzio del nostro tempo tragico, che abbiamo vissuto da soli. Quando lo dissi a Bustianu Satta mi abbracciò. Quando la vide scolpita pianse”.
Per Figari il Ciusa è una “figura esile e asciutta” come la sua opera, con due occhi accesi e irrequieti, una parlata scandita e eccitata da cantore notturno, sceso dalle pendici di roccioni granitici coronate di querce e popolate da pastori nomadi, legati a dure vicende di cui quella madre era la sintesi umana, universale ed immutabile nel destino.
L’artista nuorese nasce il 2 luglio 1883 in una casa incuneata tra due strade nel rione “Santu Càralu”, prospicente alla piazza San Carlo, quasi di fronte alla Chiesa in cui dal 1988 riposano le sue spoglie. Quella del nonno materno, invece, si trova proprio di fronte alla dimora di Grazia Deledda che vive in quel periodo la fase della sua prima formazione.
Il Ciusa trascorre alcuni dei suoi anni giovanili e formativi a Firenze, quando si trasferisce per frequentare l’Accademia di Belle Arti e luogo in cui torna più spesso dopo il successo, anche se è Nuoro la sede del suo costante ritorno, delle amicizie solide e care, dell’ispirazione da cui la sua arte attinge, del canto condiviso con i pastori che ascolta e con cui dialoga, delle immagini che poi trasforma in opere senza tempo.
È affascinante il rapporto che lo lega a Sebastiano Satta, considerato un padre spirituale che sa nutrirlo con il ritmo del suo canto poetico e del pensiero libero, che gli consente di muoversi tra miti e bardane al fine di trarne, da quel mondo in tumulto, il suggerimento da esprimere in forme e sculture di rara umanità.
Dotato di grande talento artistico e ricchissimo di virtù umane, Francesco Ciusa muore a Cagliari il 26 febbraio 1949, dopo aver realizzato nel corso di una vita intensa e straordinaria, opere senza tempo che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.