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Ieri il Consiglio regionale, con i soli voti della maggioranza, ha approvato la modifica dell’articolo 43 dello Statuto Sardo che cancella le province storiche di Cagliari, Sassari e Nuoro. Per Oristano, l’altra provincia storica, il discorso è leggermente diverso perché è stata istituita successivamente, il 16 luglio 1974, con legge dello Stato n. 306.
Alla cancellazione delle province è seguita la festa dei Riformatori, con tanto di champagne e fuochi d’artificio: l’ennesimo teatrino di una politica farsa. I Riformatori mentono sapendo di mentire. Parlano di una grande riforma dell’ordinamento statutario che aprirà le porte alla più grande riforma della Regione usando toni trionfalistici che cozzano con la realtà dei fatti. Innanzitutto è bene ricordare che la legge approvata ieri non ha effetti immediati perché ogni modifica dello Statuto sardo, norma di rango costituzionale, prevede il doppio passaggio in entrambe le Camere del Parlamento.
I Riformatori e la maggioranza di centrodestra sanno bene che la legge non supererà la procedura di revisione costituzionale. È pensabile che un Parlamento che ogni settimana rischia lo scioglimento, che non è ancora riuscito a discutere la nuova legge elettorale riesca in breve tempo ad approvare la modifica dell’articolo 43 dello Statuto sardo?
La legge che abolisce le province, è bene farlo presente, ha meno valore dei tanti ordini del giorno che sono stati approvati dal Consiglio e disattesi dalla Giunta.
I Riformatori continuano a dichiarare che è grazie a loro che si è ottenuto questo importante risultato. Ma di quale importante risultato si sta parlando? Di fatto non è stata abolita nessuna provincia, sono state commissariate quelle di nuova costituzione, a fini puramente elettoralistici, e di una proposta seria che individui il nuovo assetto degli enti locali e definisca il trasferimento delle funzioni dalla regione ai Comuni nessuna traccia. &
Siamo di fronte a una nuova forma di cagliaricentrismo e all’ennesimo esempio di un governo che vuole concentrare il potere nelle mani di pochi.
Franco Sabatini