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Con il titolo “Il canto degli italiani”, l'inno di Mameli, conosciuto universalmente come Fratelli d'Italia, diventa inno ufficiale della Repubblica italiana.
Ma non è l’Inno dei sardi. Mai, personalmente, l’ho cantato e mai lo canterò.
Oltretutto si tratta di un Inno brutto, bolso e retorico, guerresco e militaresco (alla faccia del pacifismo della Costituzione, art.11): nostalgico delle cosiddette “imprese” romane (leggi stragi, distruzioni, rovine) di Scipione e dei suoi compari nei confronti di popoli inermi o comunque non in grado di contrastare le armi degli eserciti romani, decisi a “debellare superbos”: ovvero a sterminare chi aveva l’ardire di opporvisi.
Ma l’Inno è soprattutto insopportabilmente ideologico: di una ideologia unitarista e statalista, negatrice delle diversità e specificità presenti nello Stato italiano. Al fine di giustificare “l’Unità” si manomette la storia e la si falsifica. Che c’entra infatti la battaglia di Legnano – ovvero la vittoria dei comuni lombardi nei confronti dell'Imperatore Federico Barbarossa – con l’Italia e la sua Unità? E ancora che c’azzeccano i Vespri siciliani, Francesco Ferrucci, e Balilla? Assolutamente nulla.
Si dirà: l’Autore, Goffredo Mameli era un giovanissimo patriota che nel confezionare l’Inno, si è rifatto al passato ritrovando idealmente in esso le radici e le giustificazioni delle lotte risorgimentali per l’Unità. Bene. Mameli è da assolvere.
Non quelli che utilizzano, strumentalmente il suo (ingenuo) inno per giustificare e circuitare una visione dell’Unità dell’Italia da ricondurre alla storia del passato, come se fosse stata voluta dal destino.
Fu voluta e realizzata invece dalla Casa Savoia, dai suoi ministri – da Cavour in primis – e dal suo esercito in combutta con gli interessi degli industriali del Nord e degli agrari del Sud, il blocco storico gramsciano, contro gli interessi del Meridione e delle Isole e a favore del Nord, contro gli interessi del popolo, segnatamente di quello contadino e del Sud.