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Un cesto di frutta fresca con fragole, pesche, albicocche, pere e prugne esposto oggi in occasione dell'assemblea di Coldiretti, al Palalottomatica dell'EUR a Roma ANSA/CLAUDIO ONORATI/on
E capiremmo pure - noi che in Sardegna non abbiamo un accidenti di specie di frutta con marchio Dop o Igp - se nella vaschetta consegnata ai bambini ci fosse una delle trentanove specialità italiane (l'arancia rossa di Sicilia, la mela rossa di Cuneo, e addirittura il misterioso kiwi di Latina, per esempio) indicate nel bando di gara del Ministero delle Politiche agricole.
Ma il punto è che il progetto “Frutta nelle scuole”, pensato per aiutare i bambini delle Elementari ad apprezzare il gusto di una merendina naturale, ricca di vitamine e senza conservanti, sembra incentivare soltanto le emissioni di Co2 visto che nei nostri istituti arriva pure tanta roba da Paesi quali la Spagna (come nei centri commerciali e nei negozi sotto casa, d'altronde).
«Purtroppo - avvisa l'assessore all'Agricoltura Elisabetta Falchi - si tratta di un appalto ministeriale. Già mesi fa abbiamo protestato in sede di Commissione politica agricola delle Regioni. Abbiamo avvisato i referenti del Ministero che ci saremmo rifiutati di avallare un altro progetto che non coinvolgesse le aziende agricole locali, regione per regione».
Lei, racconta, si presentò all'incontro romano con un cestino di fragole ammuffite prodotte a Bari. «Un campione di ciò che era stato servito ai nostri scolari». La prossima gara, annuncia l'assessore, «verrà sicuramente fatta con criteri diversi».
Quello che finora è stato un appalto su base comunitaria, che richiama grosse aziende di distribuzione e commercializzazione della frutta, potrebbe passare a un livello regionale. Il che, ne converranno persino gli ottusi burocrati del Ministero, sarebbe un bene per la salute dei bambini, il rispetto dell'ambiente (immaginate il viaggio della frutta dalla Spagna, ai depositi della penisola fino in Sardegna?) e la serietà del progetto che punta a incentivare «una nutrizione maggiormente equilibrata nella fase in cui si formano le abitudini alimentari dei bambini». Amen.
Il problema, puntualizza il direttore regionale di Coldiretti Luca Saba, «è che la burocrazia non è certo un campione di buonsenso». Certo, siccome si tratta di un appalto del Ministero, non c'è un solo elemento di ordine amministrativo fuori posto. «Non possiamo certo attribuire responsabilità ai funzionari pubblici che seguono il procedimento. Tutto è legato alla mancata semplificazione, alla burocrazia appunto. E il danno che ne consegue è impressionante».
Ma, senza troppo piangerci addosso, non è che il problema è legato anche alla scarsissima competitività delle aziende agricole sarde? «In parte è vero - ammette il direttore di Coldiretti - ma resta il fatto che un progetto che ha come obiettivo l'educazione dei ragazzi al consumo di prodotti genuini e a chilometri zero, va fatto su base regionale. I programmi potrebbero essere gestiti territorialmente dall'autorità scolastica».
E nel frattempo, in una regione che importa l'80 per cento di ciò che mettiamo a tavola, arrivano nelle scuole vaschette d'uva (fuori stagione) e mandarini andati. È successo alle Elementari di Guspini. «Io - dice la dirigente Annalisa Piccioni - posso anche capire i meccanismi di un grosso appalto, ma se vogliamo aiutare i bambini ad apprezzare la frutta non possiamo certo presentare loro un prodotto ammuffito».
Anche Greca Piras, dirigente del circolo didattico di Quartu che conta 720 bambini (tra Materne ed Elementari) conviene sull'opportunità «di servire frutta locale». Ma, mentre richiama la natura dell'appalto, sottolinea che «da un punto di vista didattico il progetto, partito quest'anno solo nel plesso di via Cimabue, funziona: con la frutta servita due volte la settimana, le scuole ricevono un contributo di 2 euro per bambino che possiamo usare per varie iniziative, e in più ci sono i corsi di formazione per i docenti».
In tema di aziende sarde magari poco competitive, ha un aneddoto da raccontare.