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Quando suona la campana che annuncia la fine della camera di consiglio, l'emozione si taglia a fette. La piccola comunità di parenti e amici di Gianluca Monni, che da Orune si è riversata nell'atrio del tribunale dei minori di Sassari, fatica a trattenere la tensione.
Le lacrime iniziano ad affiorare ancora prima che il giudice Antonio Minisola legga la sentenza che condanna Paolo Enrico Pinna a vent'anni di reclusione. E quando il primo parente esce dall'aula blindatissima, tenuta al sicuro da telecamere e taccuini, tutti lo cercano con lo sguardo. I suoi occhi chiari, lo sguardo fiero, si sciolgono in un pianto mentre un cenno del capo rassicura tutti.
"A posto, vent'anni", dice. La notizia rimbalza di bocca in bocca. I genitori del giovane ucciso la mattina dell'8 maggio 2015 si volatilizzano in un attimo. Non hanno niente da dire, non vogliono dire niente. Il resto dei parenti e degli amici resta lì, di fronte all'aula. Il pianto si fa corale, rimbomba tra gli abbracci e le pacche sulle spalle. Un'emozione difficile da contenere.
Non c'è gioia, non ce ne può essere. Ma la sensazione che sia stata fatta almeno un po' di giustizia. Escono dall'aula anche i legali di parte civile. L'avvocato Antonello Cao, che ancora stamattina insisteva sull' inconsistenza delle affermazioni della difesa, ha il viso scavato e gli occhi rossi.
Ha pianto anche lui. Ha pianto in aula, insieme ai genitori di Gianluca Monni. Vede i giornalisti, subodora la presenza di telecamere e macchine fotografiche che lo attendono all'uscita. Fa un cenno ai colleghi Rinaldo Lai e Margherita Baraldi, escono da un accesso laterale. Senza dire mezza parole. In fondo, quella sentenza così perentoria ha già detto tutto.