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Si è conclusa il 10 settembre scorso, la trentaduesima edizione del festival “Ai confini tra Sardegna e jazz”. La suggestiva cornice del centro storico di Sant’Anna Arresi ha richiamato ancora una volta, simbolicamente, questi confini. Nutrita la presenza di media nazionali e internazionali che incoraggiano l’Associazione culturale Punta Giara, patrona del festival, a proseguire sulla strada di sempre in vista della prossima edizione.
L’evento era incentrato sullo spirito del leggendario batterista e percussionista Max Roach e sulla sua “We Insist! Freedom Now”, che ha accompagnato le lotte per i diritti civili degli afroamericani negli anni 1960. Ed è stato giustappunto attraverso l’attenzione alle diseguaglianze e alle discriminazioni che il festival appena concluso ha incarnato il sopradetto spirito. Max Roach è da annoverare tra i più importanti innovatori del suo strumento, e, di conseguenza del jazz. Fino ad allora, infatti, il ruolo del batterista era quello di assicurare la regolarità ritmica al resto della formazione, scandendo i quattro quarti della battuta. Con l’avvento del bebop, oltre allo scardinamento delle regole dell'armonia e della melodia, v’è stata una rivoluzione anche nel ritmo. Il solista costruiva lo sfondo, e la sezione ritmica diveniva protagonista. Ebbene, Roach è stato uno dei primi a codificare lo stile della batteria bebop.
La prima serata ha visto protagonisti la Dobet Gnahorè Band – special guest Boni Gnahorè con Aly Keita & Hamid Drake Duo. La calda voce di Dobet Gnahorè, unita ai virtuosismi della band, ha creato le suggestioni di un viaggio nel profondo del continente nero. L‘artista ivoriana, dotata di una notevole presenze scenica, ha abbattuto i confini tra jazz e world music.
La seconda serata è stata la volta del Sylvie Courvoisier e Kenny Wollesen Duo, e dei Lean Left. L’estro dei due artisti newyorkesi ha prodotto un ritmo, in Roach style, tendente all’infinito riproducendo momenti della natura. I Lean Left, invece, hanno usato un linguaggio musicale rude ma potente.
Nella serata successiva il duo Aly Keita & Hamid Drake ha trasmesso la sua forza e, attraverso un raffinato dialogo, ha riecheggiato i suoni dell’Africa. Drake, assieme ad altri musicisti convenuti per la rassegna, ha poi eseguito una versione estemporanea della Freedom Suite calandosi profondamente nel significato intrinseco dell’opera legata a Roach ma, in realtà, composta da Sonny Rollins.
La quarta serata è stata animata da Joe Chambers, versatile pianista che, libero da rigidi schematismi, ha costruito una colonna sonora, ricca di fioriture ed estro modale, ispirante pace e fratellanza. E dal Summit Quartet, tornato a Sant’Anna Arresi dopo la memorabile esibizione dello scorso anno, che con la sua esplosività e la sua veemenza, ha dato voce a sentimenti diversi come determinazione e disperazione, producendo, inevitabilmente, un parallelismo con l’incitamento al riscatt