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“Dobbiamo prenderli a forconate” è stata la frase di Mariano Ferro che ha coniato il movimento de “I Forconi”, pronunciata a fine 2011 con riferimento al Governo Monti che non sosteneva la categoria degli imprenditori agricoli.
Questo è stato il principio in Sicilia, la fine deve ancora arrivare e probabilmente si concretizzerà a Roma, epicentro del potere politico che governa il paese.
Dal 2011 il movimento è andato ad ingrossarsi lentamente ma ininterrottamente e oggi ha assunto l’aspetto di un fiume in piena, alimentato dal popolo degli “arrabbiati e delusi” che la crisi ha messo in ginocchio. Molto simile ad una categoria residuale, accoglie tutti coloro che si sentono vittime di un’ingiustizia sociale e che non si riconoscono più né in un partito, né in un’ideologia etichettabile in destra o sinistra, riunendo ormai gli esponenti dei settori più disparati: agricoltori, allevatori, pastori, piccoli imprenditori, autotrasportatori, studenti, pensionati o semplicemente disoccupati e inoccupati che un’occupazione non riescono a trovarla o non l’hanno mai avuta. Non ce la fanno più, sono scontenti e delusi dell’immobilismo delle istituzioni di fronte all’emergenza sociale ed economica che attanaglia il paese; delle spese folli, sulla pelle dei cittadini che pagano le tasse dimenticando anche il motivo per cui si contribuisce al funzionamento dello Stato; dell’ostinata perseveranza delle istituzioni in un modus operandi aggravato dalla cecità verso il fatto che il paese è arrivato all’ultimo stadio e che ora qualcosa ormai è cambiato e sta cambiando.
Si considerano apolitici, apartitici, pacifici ma “arrabbiati” e il loro numero è destinato ad aumentare a dismisura perché oggi in Italia siamo tutti, chi più che meno, stanchi delle promesse pre e post elettorali e consapevoli dell’inadeguatezza della classe dirigente che vive tra agi troppo distanti dalla difficile, spesso insostenibile, realtà delle famiglie e delle imprese italiane. La certezza è che la classe dirigente prima di cambiare in meglio il paese deve cambiare sé stessa, restituendosi la dignità e la credibilità che, giorno dopo giorno, va continuamente perdendo. I politici devono prendere atto che non posso continuare come hanno fatto finora perché la protesta è stata generata dagli scarsi risultati dell’azione amministrativa nazionale, dall’indifferenza delle istituzioni verso situazioni di profondo disagio economico culminate in innumerevoli suicidi e si sta alimentando e scoppierà in un qualcosa dai contorni ancora poco chiari ma facilmente violenti, per probabili infiltrazioni di frange estremiste e perché troppo dolore e insoddisfazione si è accumulato sulle spalle della gente stremata dal carico fiscale e insoddisfatta dagli effimeri mezzi residui.
Nonostante tutto ciò ora la gente trova la forza di non uccidersi ma canalizza il malcontento verso i suoi artefici, tentando per l’ultima volta di cambiare le cose. “I Forconi” esprime un malcontento legittimo e nazionale, dichiaratamente non violento, che sta prendendo piede dal nord al sud in un’estrema ricerca di giustizia e le istituzioni farebbero bene a non continuare ad evitarli e sottovalutarli ma accordare un’incontro stabilendo quel dialogo diretto che è divenuto l’utopia moderna più grande. Non si parli di benzina sul fuoco ma si indaghino, senza perdere altro tempo, le radici profonde della protesta in un grosso esame di coscienza, intravedendo già le vie della ricostruzione.
“Tutti a casa” è l’inflazionato grido di protes