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Il dolore di un'intera famiglia in un'aula di giustizia. È successo in Corte d'assise a Nuoro quando hanno testimoniato Marco, Giuseppe, Valentina e Alessandra Masala, rispettivamente padre, fratello e sorelle di Stefano, il giovane di 29 anni di Nule scomparso la sera del 7 maggio 2015 e mai rientrato a casa.
Un racconto interrotto dai singhiozzi e dalle lacrime, quello del papà. "So che mio figlio è morto - ha detto - Con le forze dell'ordine, i sommozzatori, i cani molecolari abbiamo scandagliato le campagne i pozzi, i fiumi, i laghi, le porcilaie di mezza Sardegna: volevo riportare a casa almeno i resti di Stefano per avere una tomba su cui poggiare un fiore. Non auguro neppure a chi ha fatto questo di provare un secondo il dolore che stiamo provando noi".
L'uomo ha ripercorso il calvario della famiglia, in particolare della moglie, che non ha retto alla tragica fine del figlio ed è morta nel magio 2016: "Si sono portati via non solo Stefano ma anche mia moglie".
Poi la ricostruzione delle ultime ore di vita del giovane. "L'8 maggio, visto che ci avevano riferito che Stefano la sera prima era andato a casa di Paolo Enrico, ho mandato il mio amico Peppone Manca dai Pinna per avere qualche informazione. Paolo Enrico gli ha detto che Stefano era andato da lui per avere il numero di cellulare di una ragazza che a lui piaceva molto, gli ha chiesto di intercedere con lei, perché se lo avesse rifiutato si sarebbe suicidato".
Affermazioni non veritiere, secondo Marco Masala: il figlio, ha riferito alla Corte, aveva sempre avuto il cellulare di quella ragazza e Stefano non si sarebbe mai tolto la vita, era un ottimista. Per l'accusa Pinna aveva attirato in una trappola Stefano con la scusa di un appuntamento con la ragazza di cui si era invaghito.
"La sera del 7 maggio, poco prima di uscire, Stefano emanava un profumo esagerato di dopo barba - ha confermato il padre - E' molto probabile che fosse convinto di incontrare quella ragazza". In aula ci sono stati forti momenti di tensione tra la difesa dell'imputato, Alberto Cubeddu, e gli avvocati di parte civile che hanno avuto da ridire per l'estenuante esame a cui Marco Masala è stato sottoposto. In particolare, una frase del legale Mattia Doneddu, "Ci vuole coraggio a lasciare un ragazzo di 21 anni in carcere", ha provocato la bagarre di parenti e amici dei due giovani uccisi. L'udienza è stata aggiornata al 16 novembre prossimo.