“Si moltiplicano i problemi per i colloqui tra la bimba di 5 anni, affidata al padre residente a Viterbo, nel Lazio, e la mamma M.S. che vive  a Baressa, un paese dell’Oristanese. Mamma e figlia, che hanno ripreso gli incontri protetti de visu in una struttura, dopo un lungo periodo di black out favorito dal Covid19, incontrano ancora difficoltà ad instaurare una relazione costruttiva e a interagire in piena serenità e intimità per la costante presenza di una operatrice e/o della Direttrice del Centro destinato agli incontri. Accade addirittura che irrompano a sorpresa nella stanza dove si sta svolgendo il colloquio. Una situazione palesemente in contrasto con il principio del sostegno della genitorialità responsabile e con il diritto della piccola di poter fruire liberamente dell’affetto della giovane mamma”.

Lo sostiene in una dichiarazione Maria Grazia Caligaris dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, evidenziando che “alle problematiche relazioni con l’assistente sociale di Viterbo si sono aggiunte quelle con le operatrici della struttura dove avvengono i colloqui”. 

“La vicenda – osserva Caligaris – sta assumendo risvolti fortemente negativi per la bambina che è costretta a vivere la relazione con la giovane madre in un clima di ansia per la costante presenza di ‘estranei’ che rischiano di limitare la libertà di espressione e sembrano contraddire il principio di preservare le relazioni familiari sancito dalla Convenzione sui Diritti del Fanciullo. La madre effettua colloqui protetti con la figlia perché il Tribunale aveva ritenuto che la donna, essendosi rifiutata di separarsi dalla piccola quando aveva 2 anni, potesse riportarla in Sardegna. Alla giovane mamma però non è stata mai sospesa la potestà genitoriale e quindi non c’è ragione di applicare un così severo controllo”. 

“Nella storia di questa bambina – si legge ancora nella nota di SDR – si osservano ancora comportamenti che appaiono come arbitrarie interferenze nella sua vita privata laddove invece si dovrebbero salvaguardare i suoi bisogni affettivi per uno sviluppo emotivamente equilibrato. Sembra infine delinearsi una forma di discriminazione per cui all’assegnatario è tutto concesso mentre alla madre, che peraltro vive in Sardegna, la continuità della relazione è sempre irta di problemi. Occorre altresì osservare – conclude Caligaris – che la bambina non gode neppure delle relazioni affettive con i nonni e gli zii materni che avrebbero bisogno di aiuti appropriati e particolari condizioni per poter mantenere un rapporto continuativo con la piccola. L’idea potrebbe essere anche quella di far trascorrere un periodo di tempo in Sardegna, assegnando temporaneamente (per almeno 2/3 mesi) la bambina ai nonni materni in modo che sia il padre a varcare il Tirreno. Ciò garantirebbe alla piccola un’occasione speciale per conoscere le radici culturali e formare la propria identità in modo più completo”.