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A Neoneli, Comune della provincia di Oristano situato nella regione storica del Barigadu, la storia del Carnevale si trasfonde fino ai nostri giorni proponendo alla pubblica attenzione le antiche gesta del proprio carnevale, con un’iniziativa di elevata portata storica e sociale che prende il nome di Ritus Calendarum.
L’evento nasce nel 2010 per opera dell’associazione Sos Corriolos, che di anno in anno alterna l’organizzazione con l’associazione Sas Mascheras ‘e cuaddu, entrambe supportate dal contributo dall’amministrazione comunale.
L’atteso appuntamento, che richiama e colleziona da sempre numerosissime presenze, è in programma domenica 8 marzo.
Ma qual è la derivazione di Ritus Calendarum, e qual è la sua origine?
Letteralmente tradotto dal latino il termine Ritus Kalendarum significa i riti delle calende.
Per i romani, le Calende rappresentavano i primi giorni di ogni mese, cui seguivano le None e le Idi: ad ogni inizio Calende corrispondeva dunque l’inizio di un nuovo mese ed è proprio da esse che trae origine il nostro attuale calendario.
Famose nella storia sono le Kalendiis Januariis e le Kalendis Februariis, le calende di Gennaio e Febbraio.
Riferimenti storici sulle Calende.
Già l’apologista Tertulliano riporta notizia delle Calende di Gennaio nei suoi sermoni datati anno 336. Le sue opere De Idolatra e De Anima, esortano infatti i cristiani a non partecipare ai riti pagani che si svolgevano a partire dalle Calende di Gennaio, facendo particolare attenzione alle manifestazioni di riti sacrificali, sacerdotali, di spettacoli o cerimonie simili, o di giorni considerati sacri e di festa per i pagani.
Ancora, un’altra figura di spicco per la cristianità, fu Sant’Agostino che inveì contro i riti pagani, ammonendo i rituali delle calende. Nel suo sermone numero 129 infatti, afferma letteralmente : “Gli uomini indossano pelli di bestie, altri si adattano sul capo teste di animali, felici ed esultanti si trasformano in forme bestiali in modo da non sembrare più uomini”.
Tantissimi sono i riferimenti nella storia di rituali pagani difficili da estirpare.
Il papa altomedioevale Gregorio Magno definisce i sardi “Ladruncoli mastrucati adoratori di tronchi e pietre” e, nei suoi scritti sostiene che “tutto ciò che non può essere sradicato completamente nella mentalità e credenza pagana dev’essere trasformato e adattato alla credenza cristiana”.
Proprio per questo motivo sorgono chiese campestri a ridosso o addirittura sovrapposte a luoghi di culto pagani.
Una delle ultime testimonianze in materia, sui periodi delle calende di gennaio, ci viene fornita dal frate Gesuita neonelese Bonaventura Licheri, vissuto nel settecento.
Bonaventura Licheri, gesuita neonelese.
Il Licheri, nella sua raccolta di poesie intitolate “Dolores Bios” e “Sant’Antoni in s’ierru”, accompagnato dal suo priore Giovanni Battista Vassallo, racconta scene di vita atte a evangelizzare ed estirpare la religione pagana, a cui assiste nel suo peregrinare di paese in paese. Nei suoi viaggi, presenzia attonito a vicende di violenza inaudita contro chi, vestito di pelli e corna, non può difendersi, assalito da uomini che non hanno più parvenza umana, ma bensì di fiere feroci. Esse, con il volto nero o insangrestados (insanguinato), portavano la vittima sacrificale prescelta per il supplizio, che veniva poi gettata nel fuoco purificatore. Il fuoco era un elemento importantissimo, come lo era altrettanto il sangue della vittima.
Per comprendere meglio il concetto è necessario un salto temporale alle suddette Kalendiis Januariis del periodo romano e anche antecedente.
I riti delle Calende
Durante le calende di gennaio si iniziavano i sacerdoti al dio Dioniso, e proprio in suo onore si accendevano dei grandi fuochi dove ebbre e farneticanti, danzavano le figure di satiri e baccanti. A queste danze sacre seguiva però un atto terrificante : tra la gente della comunità veniva prescelta una vittima, ovvero colui che aveva perso il lume della ragione, comunemente definito “il pazzo” o “il folle”. Questo perché in antichità la pazzia era considerata sacra e divina, in quanto si riteneva che fosse data dalla possessione del Dio stesso. Il prescelto veniva vestito con pelli di animale, sul suo capo venivano poste delle corna posticce e legato, veniva trascinato in processione. Durante il tragitto dei pungoli pungevano il suo corpo, affinché il suo sangue cadesse per terra e infine veniva ucciso. Il suo sangue era considerato sacro in quanto rappresentava il sangue del Dio fecondatore della terra.
Al giorno d’oggi, questo rituale corrisponde più o meno all’accensione dei falò di Sant’Antonio e all’apertura del carnevale. La festività, ormai cristianizzata, non era altro che un rituale di commemorazione nel quale si offriva un sacrificio in onore del Dio che doveva mandare prosperità e piogge abbondanti.
Perché Neoneli appella il proprio carnevale Ritus Calendarum?
È di logica deduzione dunque, il perché a Neoneli il carnevale, che rivive le antiche gesta e ospita le maschere e i riti della tradizione regionale, abbia una denominazione fondata su un’identità che racconta le più profonde origini, traendone ispirazione dai Riti delle Calende.