Per la prima volta nella storia della Repubblica una legge di iniziativa popolare cambia la Costituzione. Con la modifica dell’articolo 119 della Costituzione, il Parlamento ha deciso, così come chiesto dalla Sardegna, che dopo il quinto comma sia aggiunta la seguente disposizione: “La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità”. Lo Stato, da questo momento in avanti, riconosce le condizioni e i limiti dell'insularità e si impegna a eliminarli, sanando una ferita tra le Isole d’Italia e il resto della Penisola rimasta aperta fin dal 1946.

“Abbiamo cambiato il corso della storia: oggi il Parlamento ha espresso la volontà di riconoscere i diritti delle isole. Da questo momento in avanti la Sardegna e tutte le Isole d’Italia hanno gli stessi diritti, riconosciuti dallo Stato, e la possibilità di avviare quel cambiamento necessario per superare gli handicap che fino a oggi ne hanno frenato lo sviluppo”, è il commento a caldo del Presidente della Commissione speciale per l’insularità e del Comitato promotore per l’insularità in Costituzione, Michele Cossa.

“Ci aspetta ora un grande lavoro affinché il principio di insularità in Costituzione venga declinato al meglio e porti a un reale giovamento per la Sardegna. Ora toccherà a noi far valere nei confronti dello Stato e, a catena dell’Unione Europea, le opportunità offerte dall’affermazione di questo principio”. Partita dal basso, con una raccolta di firme che a suon di banchetti dentro e fuori i confini della Sardegna ha raggiungo quota 200mila firme, la battaglia per il riconoscimento dei principio di insularità in Costituzione sostenuta da un Comitato promotore che si è formato da hoc, ha unito il mondo della politica e la società civile in ogni sua declinazione.

Alle firme raccolte nelle citta e nei paesi, nei porti e negli aeroporti, sui lungomare più affollati in estate e nel luoghi di ritrovo in inverno, dentro e fuori i centri commerciali, si è aggiunto il consenso  del mondo delle imprese, delle associazioni di categoria, del volontariato, del mondo della cultura, dello sport, delle Università, della Conferenza episcopale sarda. Ad esso si è aggiunta la mobilitazione del mondo degli emigrati sardi in Italia e quello delle isole minori italiane (riunite nell’Associazione dei Comuni delle Isole minori italiane, ANCIM) e di una parte importante della politica siciliana.

Essere un'isola, è il ragionamento alla base della proposta di legge, comporta enormi costi aggiuntivi (legati principalmente ai trasporti, al costo dell’energia, al gap infrastrutturale, ad un mercato interno ritratto ed esposto più degli altri agli shock esogeni), che non consentono ai cittadini e alle imprese delle isole di avere pari condizioni di partenza rispetto ai connazionali.

Uno studio specifico realizzato dall’Istituto Bruno Leoni, ha quantificato il “costo dell’insularità” per la Sardegna in circa 5.700 euro pro capite: circa 9 miliardi di euro l’anno (a fronte di un PIL della regione che non arriva a 30 miliardi di euro). Uno studio analogo predisposto dalla Regione siciliana parla invece di circa 1300 euro per ogni cittadino siciliano (6,5 miliardi in totale). Ancora più complicato è vivere e lavorare nelle isole minori e negli arcipelaghi, gravati da una condizione di “doppia” (anche tripla) insularità.

Da qui la richiesta della Sardegna, attraverso il Comitato promotore per l’insularità in Costituzione, al Parlamento: azzerare gli attuali svantaggi strutturali legati all’insularità e consentire finalmente alle isole di competere con pari punti di partenza con tutti gli altri territori italiani. Con il voto della Camera dei Deputati, ultimo passaggio previsto per le leggi di rango costituzionale, i diritti delle Isole d’Italia sono stati ascoltati.