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All’ombra dei colli Sant’Elia e Monte Bannitu, ai piedi del campanile della chiesa di San Giorgio Martire, l’antica armonia del canto a tenore rimbomba più forte, riecheggiando fra i vicoli di Bitti e oltre, verso le valli del Tepilora.
Sonorità roche bagnate di miele e falsetti che sembrano violini accompagnano i versi potenti dell’uomo che canta l’amore, la vita, la morte e la natura. E’ la magia di uno dei canti più antichi del Mediterraneo, un accordo di voci plasmato dai secoli.
Era il 1958 quando Daniele Cossellu, tziu Tanielle, calzolaio bittese, intonò per la prima volta la sua oche ‘e notte sotto il cielo di Sassari. Accadde in occasione della Cavalcata Sarda di quell’anno. Una delle ricorrenze più attese dalla città che se nella discesa dei Candelieri rivive il suo sentimento più intimo e viscerale, con la Cavalcata eleva in tutto lo splendore la coscienza del suo nobile manto di cultura, di identità propria e di tradizione inclusiva della intera sardità.
Da allora sono passati 60 anni e tziu Tanielle, questa sera, sarà ancora sul palco di piazza d’Italia. I capelli bianchi, nascosti dal berretto, e l’orgoglio di una testimonianza straordinaria, una vita spesa ad affermare la grandezza di una storia identitaria che come lui pochi altri hanno saputo offrire al mondo con generosità e passione.
Nel 1974, insieme a Tancredi Tucconi, Salvatore Bandinu e Piero Sanna, fondò il Tenore Remunnu ‘e Locu, storica formazione che con un certosino lavoro di ricerca e diffusione, attraverso i decenni, ha accarezzato le sensibilità di artisti del calibro di Ornette Coleman, Frank Zappa e Peter Gabriel. I Remunnu ‘e Locu, suscitando l’interesse della critica musicale internazionale, hanno dato un importante contributo a quel processo che ha condotto al riconoscimento del canto a tenore quale patrimonio immateriale dell’umanità da parte dell’UNESCO nel 2008.
Oggi, a fianco a Cossellu, cantano Pier Luigi Giorno, Mario Pira e Dino Ruiu.
Tziu Tanielle, il gruppo di canto con il quale voi di Bitti vi presentaste a Sassari alla fine degli anni ’50 non era ancora una formazione costituita ufficialmente come oggi siamo abituati a vederle. Ci racconta come maturò quell’esperienza?
Quello che si presentò a Sassari nel 1958 era un gruppo estemporaneo. Gruppi costituiti ufficialmente, in quegli anni, ancora non ne esistevano. Noi non venivamo invitati direttamente. Gli organizzatori delle manifestazioni contattavano i sindaci dei vari paesi invitandoli a coinvolgere le persone disponibili a partecipare. Prima di me già altri cantarono alla Cavalcata Sarda. Uomini che cantavano a tenore ce n’erano tanti nei nostri paesi. Si cantava nelle bettole, altri divertimenti non ce n’erano. Allora gli strumenti come la fisarmonica, l’organetto o la chitarra non avevano la diffusione di oggi. La gente si divertiva a cantare, anche i balli per il carnevale e per le feste campestri venivano accompagnati sempre dal canto a tenore, e così le serenate. Il canto era diffusissimo.
Quali sono le tappe fondamentali che hanno portato poi alla fondazione del Tenore Remunnu ‘e Locu?
Dei quattro che cantarono nel 1958 a Sassari solio io e Tucconi abbiamo continuato (gli altri due erano Salvatore e Antonio Burrai, ndr). Il nostro sogno era che il canto a tenore varcasse il Tirreno, ma non per tutti era possibile andare fuori dalla Sardegna, quindi dovemmo trovare altri elementi. Quando ho costituito il gruppo storico, nel 1974, è stato necessario fissare delle regole. Le condizioni erano pesanti, certo, ma sapevamo che per creare una realtà che portasse a un’esperienza seria era necessario autodisciplinarsi. Dopo la famiglia, per noi, veniva il canto a tenore. Era una condizione necessaria per portare il nostro canto al di fuori delle bettole, bisognava crederci. Provare con pazienza e rispondere con serietà alle chiamate che sarebbero arrivate. Questo approccio ha determinato poi negli anni il successo della formazione. La mia massima aspirazione, allora, poteva essere arrivare a cantare in uno dei tanti circoli sardo fondati dai nostri conterranei emigrati in Europa. Al riconoscimento dell’Unesco non potevo certo pensarci, anzi, se me lo avessero raccontato avrei pensato che si trattasse di una pazzia.
Ci racconta un aneddoto divertente di quegli anni?
A 16 anni io ero già considerato un bravo cantante in paese, già allora iniziavano a cercarmi i grandi per cantare con loro. Ma è addirittura dai 10 anni che iniziavamo a provare a cantare, ascoltando i giovani che ogni sera cantavano le serenate alle belle ragazze nei vicinati. Noi ci mettevamo vicino a loro e ascoltavamo questo canto. Una volta che i più grandi andavano via, noi bambini iniziavamo ad imitarli cantando a nostra volta alla Maria o alla Giovanna di turno.
Cosa ha rappresentato nella sua vita il canto a tenore?
Il canto a tenore l’ho imparato e tramandato a mia volta agli altri. L’ho vissuto come un’eredità da coltivare. Ho lavorato a fondo per ottenere nella sua interpretazione il risultato migliore. Il nostro obiettivo, tramite le incisioni, è stato sempre quello di convincere i nostri studiosi, gli studiosi delle tradizioni, a parlarne, a scrivere e approfondire gli studi sul canto a tenore per farlo ammirare il più possibile. Questo è sempre stato lo scopo principale.
Quella di Sassari è stata spesso definita “la festa della bellezza”. Cos’ha di diverso la Cavalcata Sarda dalle altre grandi manifestazioni del folklore isolane?
La differenza principale sta nel fatto che a differenza delle altre due grandi manifestazioni dell’isola, il Redentore e Sant’Efisio, la Cavalcata è una manifestazione laica. Il folklore, le danze e i canti tradizionali, anche il divertimento, ecco, a Sassari sono gli unici e soli protagonisti.
Cosa è cambiato in meglio nel mondo delle tradizioni e cosa si è perso?
Ovvio, prima le feste popolari avevano una autenticità che in parte si è persa, oggi le situazioni sono più impostate. Negli anni ci sono state improvvisazioni e rivisitazioni che hanno un po’ mutato lo spirito di allora. Tutti gli abiti tradizionali che indossavamo negli anni ’50 erano originali, erano realmente gli abiti degli anziani dei nostri paesi, più semplici di quelli di adesso. Oggi tutti i giovani hanno un loro abito. Per contro, sicuramente l’organizzazione degli eventi è migliorata e si è evoluta rendendoli più godibili e permettendo alla gente di assistere al meglio agli spettacoli proposti.
Oggi tanti giovani si affiancano con entusiasmo al mondo delle tradizioni. Se le chiedessi di lasciare loro un messaggio, una consegna, cosa si sentirebbe di dire?
Direi loro di avere costanza, di cercare di fare il meglio possibile ma tenendo sempre fede alla tradizione, a quello che ci hanno tramandato i nostri antenati. Questa è la cosa più importante da tenere a mente. Conservare il proprio timbro, le peculiarità, preservare ognuno le proprie diversità. Ho la convinzione che per chi non sa ricordare il passato non ci può essere avvenire.