Una lunga intervista in cui il presidente dell’associazione regionale, Thalassa Azione Onlus,si racconta e ci parla della sua energia positiva nonostante la sua lotta contro la malattia: “ Quello che so è che essere nato con questo problema ha fatto di me quello che sono, nel bene e nel male”.  

Ivano Argiolas, nato con la talassemia, è fiero dei sui 43 anni non facili. Figlio unico di genitori giovanissimi, cresciuto soprattutto con i nonni, circondato dall’affetto degli zii e dall’inseparabile cugina Tiziana, di un anno più grande, ci racconta la sua vita fatta di rinunce e qualche sofferenza. Nato “con la scadenza”, perché nel 1974 la talassemia faceva molta paura e la prognosi era ancora infausta. Fondatore dell’associazione regionale Thalassa Azione Onlus, di cui è presidente. 

Primo Sardo, e fra i primi al mondo, ad essersi sottoposto volontariamente ad una sperimentazione di terapia genica a New York con la speranza di guarire ma soprattutto consapevole di permettere alla scienza medica, attraverso la ricerca, di aprire una strada importante per la guarigione di una malattia ereditaria che in Sardegna colpisce oltre mille persone, più altre quattrocento con una variante conosciuta come talassemia intermedia. Nel 2014, insieme alla moglie Francesca e all’amico Guido, fonda una Società di gestione che ora gestisce un ramo delle Antiche Cantine Meloni Vini. 

Ivano, la tua si direbbe una vita piena. 

Direi di si.  In effetti svolgo diversi lavori, non tutti retribuiti perché quello che faccio in Thalassa Azione è volontariato puro, ma per l’impegno e le responsabilità lo considero un vero lavoro. Inoltre ho un altro lavoro par time. 

Dove trovi le energie, considerando la patologia che se pure oggi è ben curata rimane sempre un impegno considerevole? 

Non lo so, è come se dentro di me ci fosse un vulcano in piena eruzione e fino a che sarà così continuerò a fare il Presidente Centrale di Thalassa Azione, che è l’organizzazione regionale a cui afferiscono le federate e i comitati provinciali (nella federata di Cagliari dopo tre anni da Vice Presidente oggi sono conigliere), così pure come di GestiCoop di cui sono responsabile della gestione di Enoteca Meloni. Ma non è sempre stato così. Sono nato poverissimo e lo sono stato a lungo. Forse è anche questo il motivo per il quale lavoro tanto. La povertà è una brutta cosa. 

In che senso? 

Da bambino non mi impegnavo molto. A scuola venivo promosso senza merito, e questo è durato fino alla terza media. L’ho capito dopo ma gli insegnanti avevano con me un atteggiamento differente, ed erano di manica larga. Il sogno del trattamento privilegiato è terminato al liceo, quando il primo anno fui – giustamente – bocciato. Alle scuole elementari e medie, maestre e professori, probabilmente non volevano darmi un dispiacere. Dopo tutto, ai loro occhi, ero un bambino malato, figlio unico e ai colloqui si presentava sempre mia nonna una donna semplice che mi voleva molto bene. Erano tutti convinti che sarei morto giovane, e in precarie condizioni economiche, quindi perché accanirsi su di me come facevano invece coi miei compagni? Sono certo l’abbiano fatto in buona fede, ma col senno di poi ritengo fu un grave errore che denotava un senso di pietà che ho pagato nel tempo. Avere una buona istruzione e lavorare duro per portare a casa buoni voti è importante. 

E poi non sei morto. 

Già, ma devo esserci andato molto vicino perché all'età di vent’anni - un giorno di primavera - fui ricoverato d’urgenza a causa di un bruttissimo scompenso cardiaco. Non potrò mai dimenticare quei terribili momenti, quel reparto all'Ospedale Microcitemico in cui avevo visto altri prima di me in quelle condizioni, molti dei quali non ce l’hanno fatta. 

Pensavi di non farcela? 

A dire il vero ne ero certo. Io non piango mai, ma ricordo bene quel giorno di marzo del 1994. Trovai le forze per telefonare alla fidanzatina dell’epoca, di cui ero innamorato pazzo. Le dissi in lacrime che stavo molto male, che mi avrebbero ricoverato e che pensavo al peggio. Lei aveva sedici anni, poco più che una bambina, ma non mi abbandonò e marinava la scuola per passare le giornate con me in ospedale. Quella persona anni dopo divenne mia moglie, ma il matrimonio durò solo alcuni anni. Perderla fu scioccante, lei era tutto per me. Lei ora è una mamma, credo sia felice, ed io non potrò mai dimenticare quei giorni in ospedale, quando ero attaccato a mille tubi e lei era li a sostenermi. 

Il vulcano dentro di te si stava spegnendo? 

Tutt’altro! Il vulcano si è svegliato in me proprio a causa di quell’esperienza dalla quale sono uscito miracolosamente vivo. Da quel letto di ospedale ho pregato tanto la Madonna, che è la mamma di Gesù e un po’ anche la mia mamma, la mamma di tutti. Ho fatto una specie di patto con Lei. 

Sei molto religioso, è questa la tua forza? 

Ho un sacco di dubbi su tutto ma crescendo e facendo tante esperienze mi sono lasciato andare. Non ne faccio una questione di religiosità, di istituzione della Chiesa, ma di spiritualità. Pregare mi fa bene e rivolgermi alla Madonna è per me un’esigenza. Mi piace pensare che la Mamma di Gesù non può dimenticarsi di nessuno dei suoi figli. 

Puoi dirmi il tuo patto con Lei? 

Si. Le ho chiesto di fare il possibile per farmi vivere, che l’avrei ricompensata con una vita più giusta e più utile. Dopo essermi rimesso in sesto, ad aver trovato il mio equilibrio – specialmente dopo il fallimento del matrimonio – ho capito che avrei potuto fare qualcosa per la talassemia, per chi come me ha questa malattia. Dopo alcuni anni passati nelle retrovie della vecchia associazione ad un certo punto c’è stata l’eruzione di quel famoso vulcano. Nel 2011 ho costituito un comitato di pazienti e famigliari, e finalmente nel 2012 ho fondato Thalassa Azione. In questa intensa esperienza ho avuto la fortuna di essere affiancato da persone meravigliose, molte delle quali sono ancora con me. Il segreto del successo di Thalassa Azione è dovuto al fatto che mi sono circondato di persone molto migliori di me. Io sono quello che si vede da fuori, ma Thalassa Azione non sono solo io. 

La spiritualità, la scienza, l’amore. 

Si. Thalassa Azione mi ha permesso di trovare di nuovo l’amore. Ho conosciuto Francesca ad una pizzata. Mi sono avvicinato a lei ed alle sue amiche per parlarle dell’associazione che allora non era ancora conosciuta. Anche lei ha la talassemia e prima di innamorarci siamo stati amici. Lei ha dieci anni in meno di me. Ai suoi occhi ero quel signore che faceva il Presidente dell’associazione. Dopo un po’ siamo andati a vivere insieme e nel 2014 ci siamo sposati. Una cosa bellissima! 

In mezzo a tutto questo la sperimentazione a New York. 

Nel 2012, a pochi mesi dalla nascita ufficiale di Thalassa Azione, ho organizzato per conto del Professor Renzo Galanello (ricercatore e primario della Clinica Pediatrica, Malattie Rare e Talassemia dell’Ospedale Microcitemico, scomparso nel 2013 NDR) un incontro con i pazienti. In questo incontro lui ci parlò della terapia genica e del fatto che sarebbe servito un volontario. Ero in prima fila e sentì nel cuore e nella testa un’altra di quelle famose eruzioni. Il vulcano dentro di me si era fatto sentire, ed io non potevo ignorarlo. Mi candidai immediatamente.  

Sappiamo che non sei guarito. Pensi sia stato utile questo sacrificio? 

Se è stato utile? Lo è stato e nonostante il sacrificio, la paura, la sofferenza, lo rifarei ancora e ancora. Oggi la terapia genica sta dando risultati incoraggianti. Abbiamo un bambino di Monastir, Leonardo, che è guarito con la terapia genica. Un giorno guariranno tutti. Questo è il futuro. L’unica cosa di brutto che mi ha portato la terapia genica è stato dover sopportare le voci di alcune persone che pensavo amiche e secondo le quali l’avrei fatto per i soldi, e per viaggiare a New York. Una cosa terribile. 

Hai preso dei soldi per aver fatto la cavia? 

No, quando mai! Noi persone con talassemia facciamo spesso terapie sperimentali. Al momento anche mia moglie Francesca fa parte di un gruppo di pazienti che sta sperimentando un farmaco promettente che serve ad allungare il periodo fra una trasfusione e l’altra. Insieme a lei anche una decina di altre persone. Le sperimentazioni, quelle serie, non portano nessun compenso e meno male. Oggi però ci sono talassemici che credono io mi sia arricchito con la terapia genica e che mia moglie sia entrata nel protocollo perché la moglie del Presidente (…) 

Arrabbiato? 

Deluso. Nella mia attività di volontario, con un ruolo di massima responsabilità, ho affrontato molte battaglie e alcune le ho pure vinte. Se oggi abbiamo un nuovo reparto per 500 talassemici al Microcitemico è perché io e i miei colleghi abbiamo avviato un tavolo con le istituzioni. Dopo 36 anni stavamo ancora in stanze fatiscenti, con un organizzazione al collasso e coi medici che facevano le guardie in Clinica. Perfino il reparto adulti nel quale si stava bene da li a pochi anni avrebbero avuto problemi legati al poco personale ed a una struttura sulla quale non sarebbero più intervenuti. Oggi invece abbiamo un reparto totalmente nuovo, e fra alcuni anni si raddoppieranno gli spazi  che ora sono evidentemente insufficienti. Ci sono alcuni pazienti che si lamentano per questo. Li capisco e rispetto, tant'è che stiamo lavorando coi i medici e la capo sala per migliorare l’organizzazione, ma ce ne sono altri che hanno dato sfogo ai peggiori istinti. Alcuni mi hanno tolto il saluto, uno mi ha aggredito, ma i peggiori sono quelli che dicono io abbia avuto in cambio denaro e agevolazioni per me e mia moglie nelle cure. Una cosa inquietante che manca di rispetto soprattutto ai nostri medici, che secondo queste fantasiose teorie sarebbero complici. 

Eppure continui a fare il Presidente. 

In realtà a maggio scorso volevo mollare. Ero sulla via dell’esaurimento. Dopo tutto erano stati anni pesantissimi. La fondazione di Thalassa Azione, la morte di riferimenti come Professor Antonio Cao e Professor Renzo Galanello con cui avevamo appena iniziato il cammino della terapia genica, le battaglie a Cagliari per il reparto nuovo e con l’Assessorato Regionale alla Sanità per ottenere il tavolo tecnico regionale a cui oggi siedono tutti i rappresentati delle associazioni sarde. Ero convinto di dover lasciare per non morire arso dalle calore che il vulcano che ho dentro continuava a emanare. Ero convinto che sarebbe stata la scelta migliore: finalmente avrei potuto scaricarmi di così tante responsabilità e forse avrei potuto tornare a dormire la notte. Ma l’ultimo giorno utile per la presentazione delle candidature ho avuto un ripensamento: non potevo lasciare soli i miei compagni quando il gioco si faceva duro. Di li a poco avremo avuto tutto ciò per cui avevamo lavorato. Mi sono presentato alle elezioni come un qualsiasi associato perché siamo un’associazione democratica e il giorno delle elezioni nessuno più è presidente. Ho preso il 98% dei voti e questo mi ha fatto capire che quando si è nel giusto e si lavora per il bene comune, anche se i risultati non sono immediati, la stragrande maggioranza delle persone lo capiscono. Nei mesi successivi sono stato eletto per la terza volta da quando ho fondato l’associazione Presidente regionale. Ma questi saranno gli ultimi. Credo che il patto con la Madonna sia stato rispettato. 

Lascerai l’associazione che hai fondato a causa delle delusioni? 

No. La lascerò perché il mandato mi scade nel 2020 e per quella data saranno stati 8 anni di Presidenza. Dopo così tanto tempo si rischia di non avere più nulla da dire e che il vulcano si spegna insieme alle idee ed alla fantasia. Per quella data avremmo risolto tutti i problemi legati al nuovo reparto nell’Ospedale Microcitemico. Inoltre avremmo risolto con la questione della rete regionale delle emoglobinopatie, che vede il Microcitemico come HUB regionale. Nel frattempo la talassemia in Sardegna ha avuto una struttura semplice dipartimentale nel centro più grande, a Cagliari, e tutta una rete chiamata SPOKE: Carbonia, San Gavino, Oristano, Nuoro, Lanusei, Ozieri, Olbia, Sassari e Alghero. 

E i soldi per la ricerca scientifica, come anche le campagne di comunicazione per la sensibilizzazione alla donazione del sangue? 

In questi anni abbiamo raccolto e donato molte decine di migliaia di euro in sostegno alla ricerca scientifica sull’editing per migliorare la terapia genica (la settimana scorsa abbiamo versato 8.300 euro all'Università di Cagliari ed entro la primavera ne daremo altrettanti e forse più) ed abbiamo investito in comunicazione circa  8.000 euro all'anno. Dopo di me spero ci sarò qualcun altro pronto a raccogliere il testimone, magari un talassemico giovane. Altrimenti potrebbero farsi avanti quelli che per anni ci hanno snobbato e criticato. Magari loro sono più bravi, perché no? 

Per concludere, la talassemia nella tua vita ha influito molto. Pensi che senza questa malattia saresti stata una persona diversa? Migliore? Peggiore? 

Difficile rispondere. Quello che so è che essere nato con questo problema ha fatto di me quello che sono, nel bene e nel male.