Tra il 1450 e il 1750, migliaia di persone, soprattutto donne, furono processate per il reato di stregoneria, sospettate di compiere sortilegi, fatture e di intrattenere rapporti con il diavolo. La metà di queste persone fu condannata a morte, spesso al rogo.

Anche se il numero dei processi variava in base a luoghi e periodi, rientrarono tutti in un’unica operazione giudiziaria chiamata “caccia alle streghe”.

L’Inquisizione, istituzione fondata dalla Chiesa, indagava, attraverso un tribunale, i sostenitori di teorie considerate eretiche.

La caccia alle streghe comportava l’identificazione di individui cui l’opinione pubblica attribuiva la pratica di attività segrete e non approvate dal Cattolicesimo.

 L’Inquisizione in Sardegna

In Sardegna, il tribunale dell’Inquisizione fu istituito nel 1492 con la nomina, da parte dell’inquisitore generale Tomas de Torquemada, del primo inquisitore del Regno di Sardegna, Sancho Marin, con sede a Cagliari.

La Sardegna ha dato un contributo non certo irrilevante sulla caccia alle streghe, considerato il sotto popolamento: 105 donne e 60 uomini furono accusati di stregoneria, ritenuti capaci di azioni che avrebbero danneggiato la comunità.

Le sanzioni applicate furono miti rispetto al resto d’Europa e consistevano nella confisca di averi, in qualche anno di carcere o nell’esilio.

Le streghe sarde più conosciute

Un processo interessante fu quello intentato dall’Arcivescovo turritano Lorca a Caterina Curcas, di Castel Aragonès: durante le udienze, la Curcas confessò di essere stata tra i bagordi con il diavolo in un bosco tra Castelsardo e Sedini. Venne condannata ad un anno di carcere e all’esilio.

Un’altra donna, Angela Calvia di Sedini, nel 1578 fu processata: confessò i suoi rapporti con il diavolo Corbareddu, gentiluomo vestito di verde e di nero, ma spesso nudo.
Venne condannata a tre anni di detenzione, confisca dei beni, ed esiliata da Sedini.

Nello stesso anno, si svolse a Sassari il processo ad una strega oristanese, Anna Collu, accusata dall’inquisitore Corita di aver cercato tesori con il diavolo. Fu condannata alla riconciliazione con la fede, alla confisca dei beni e a tre anni di carcere.

La storia conosciuta più travagliata è quella di Julia Carta, originaria di Mores ma residente a Siligo, dov’era nota per essere un’hechizera: guaritrice e indovina.

Accusata di aver fabbricato amuleti (pungas), di aver provocato la morte di una donna, di eresia luterana, e di essere idolatrata dal diavolo, venne arrestata il nel 1596 a Mores e condotta nelle carceri della Santa Inquisizione a Sassari.

Le torture subìte la portarono a confessare ciò che neanche conosceva: venne condannata al carcere, a penitenze spirituali e a indossare il sambenito, abito che segnava a vita chi lo portava, causandone l’emarginazione sociale.