Benedetta fainè. Quella che oggi è una vera e propria prelibatezza della cucina sassarese affonda le sue radici nella gastronomia ligure. Furono proprio i commercianti genovesi, nel Medioevo, a importare in Italia l’abitudine di utilizzare i ceci come base alimentare. Le cosiddette farinate di ceci, infatti, erano già tipiche del mondo mediorientale.

DIFFUSIONE. La fainè, in particolare, conosciuta anche come fainà, cecìna o torta di ceci, è una torta salata molto bassa, preparata con farina di ceci, acqua, sale e olio extravergine di oliva. La sua diffusione è molto vasta. Non solo in Liguria, ma anche in Toscana, nel basso Piemonte (nell’Alessandrino), in Francia (Nizza, Tolone). In Sardegna, invece, la produzione della fainè è particolarmente radicata oltre che a Sassari nelle vicine Alghero e Porto Torres. Nel nord dell’Isola è spesso condita con cipolle, acciughe o salsiccia e con l'aggiunta di una spolverata di pepe nero. E poi a Carloforte e Calasetta, dove la tradizione tabarchina non poteva non accogliere influenze liguri anche in cucina.

LA STORIA. Già latini e greci preparavano sformati di purea di legumi cotti in forno. Ma i ceci erano particolarmente diffusi nel mondo arabo. Secondo gli studiosi, i commerci della Repubblica Marinara di Genova, nel Medioevo, importarono in Italia l'abitudine all'utilizzo di questo legume nello stile alimentare favorendo la nascita della farinata come la conosciamo oggi. La leggenda narra che nel 1284, quando Genova sconfisse Pisa nella battaglia della Meloria, le galee genovesi, cariche di vogatori prigionieri, si trovarono coinvolte in una tempesta. Nel trambusto che ne conseguì, alcuni barilotti d'olio e dei sacchi di ceci si rovesciarono inzuppandosi di acqua salata.

Essendo le provviste ormai ridotte, i marinai recuperarono tutto ciò che fu possibile e fu così servita loro in delle scodelle una purea di ceci e olio. I più scettici rispetto al piatto ottenuto rifiutarono la poltiglia lasciandola al sole. Il composto si asciugò presentandosi così come una frittella. Il giorno dopo i marinai, sempre più affamati, mangiarono il preparato rimanendo sorpresi per il sapore invitante. Una volta a casa, i genovesi lavorarono per migliorare quel piatto improvvisato cuocendo la purea in forno e ottenendo un ottimo riscontro fra i concittadini. La farinata così ottenuta venne chiamata per scherno nei confronti degli avversari "l'oro di Pisa".

RICETTA.

  • Setacciare la farina di ceci facendo attenzione a eliminare le impurità.
  • Stemperare una parte di farina di ceci con tre o quattro parti d'acqua in una terrina.
  • Aggiungere poco sale e mescolare energicamente con una frusta o una forchetta, per sciogliere i grumi di farina (eventualmente schiacciandoli contro la parete della terrina).
  • Lasciare riposare la miscela da due a dieci ore mescolando di tanto in tanto per evitare la decantazione della farina e sciogliendo sempre i grumi residui. Evitare di aggiungere olio alla miscela.
  • Schiumare la miscela dalla schiuma che si forma.
  • Ungere una teglia in rame stagnato con un velo d'olio d'oliva (una parte di olio per 5-10 parti di ceci) e infornarla per circa un minuto per fare scaldare l'olio, quindi tirarla fuori dal forno e versarvi la miscela partendo dal centro della teglia (lo spessore deve essere di almeno 5 mm ma inferiore a 1 cm).
  • "Spezzare" l'olio con un cucchiaio di legno dai bordi verso il centro della teglia (fino a fare affiorare macchie di olio sparse sulla superficie) e infornare nel forno a legna già ben caldo.
  • Nella primissima fase della cottura è importante girare la teglia in modo da mantenere uniforme lo spessore (questo evita di avere parti più spesse e poco cotte e parti troppo sottili e bruciate). È possibile arricchire la ricetta cospargendo la farinata prima di infornare con rosmarino, cipolla, carciofi o cipollotti oppure a metà cottura con stracchino, gorgonzola, salsiccia o acciughe. 

Nel corso della cottura, sulla superficie della farinata si forma una gustosissima crosticina dal colore dorato, mentre sotto rimane liscia e senza crosta.