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LA LETTERA DI ROBERTO VECCHIONI ALLA SARDEGNA
(pubblicata sul quotidiano “La Nuova Sardegna” di oggi 22 novembre 2013)
Il mio cuore è ferito.
Negli occhi mi trascorrono prati, monti, volti, alcuni dei quali non vedrò mai più.
Ho pianto, sinceramente pianto, come un bambino a cui han rapito il fratello per nasconderlo nel passato, lasciarlo a mezza strada tra i ricordi e l'impotenza.
Mi lega a voi, alla Sardegna, non solo una cittadinanza formale, ma una ben più alta affinità elettiva di sentimenti e sensazioni: mi sento un sardo, sono un sardo.
Non è la terra di amici miei ad essere stata sconvolta, no, è la mia stessa terra.
C'è nella ricorrenza fatale, nel perdurare di questi disastri, quasi uno spregio, una incomprensibile sfida del destino contro il popolo che meno di tutti merita il dolore e la distruzione; ma d'altronde è nella sintassi stessa del vivere sardo essere soli contro tutti e tutto, vivere come "canne al vento".
Vi abbraccio, vi abbraccio tutti in questo silenzio improvviso che risponde al tuono e alla morte: vi penso non come un eccezionale incontro, ma come la gente della mia vita a cui più assomiglio per volontà, dignità, senso morale.
Tra i miei ricordi trovo, per darci una sorta di consolazione, le parole bellissime tratte da un frammento del grande poeta greco Archiloco:
"Cuore, mio cuore sconvolto - in mezzo a pene senza fine tirati su - a petto in fuori aspetta l'assalto - dei nemici: stai ben fermo all'istante - dello scontro e se vinci non metter su - arie, se sei caduto non affliggerti - girando col muso per casa: no no - goditi i tuoi momenti di gioia e - affliggiti al dolore quanto basta, impara - la melodia, il ritmo della vita umana".
Tornerò presto ma in verità da voi non sono mai partito, è come se fossi lì a dirvi, gridarvi, sussurrarvi "si ricomincia", perché gli uomini sono troppo grandi per darla vinta al destino.
Roberto Vecchioni
Milano 21 novembre 2013