Questa mattina presso il Ris di Cagliari si sono svolti accertamenti irripetibili per il caso del simulato suicidio di Sebastian Casula di Carbonia, per il quale risultano indagati a vario titolo per morte in conseguenza di altro reato e favoreggiamento 8 persone, 7 uomini ed una donna, tutti appartenenti al giro della droga di Carbonia e per questo noti alle Forze dell'Ordine. 

Gli accertamenti, alla presenza dell'avvocato Michela Zanda per il maggior indagato, Paolo Secci, e Gianfrancesco Piscitelli, legale della famiglia del Casula, al contrario di quanto affermato da alcune testate, non si riferivano a rilievi su una corda, una siringa, una bicicletta  poiché  tali accertamenti erano già stati svolti mesi fa, bensì su quanto sequestrato a casa del Paolo Secci nel Blitz dei Carabinieri del 17 maggio 2018 ordinato dal pm di Cagliari dottor  Danilo Tronci che, insieme ai familiari del Casula ed al loro legale avvocato Piscitelli, non ha creduto sin dal ritrovamento del corpo ad un suicidio. Tutti i reperti erano cose inerenti al possesso, confezionamento, utilizzo da solo o di gruppo di sostanze stupefacenti: “Il cerchio si stringe – ha detto il legale Gianfranco Piscitelli - la verità vera sta per venire a galla e con essa giustizia per il povero Sebastian”. 

La terribile vicenda

Sarebbe morto per un'overdose, poi gli amici che gli avevano venduto la droga avrebbero organizzato una messinscena per simulare un suicidio. Ne era convinto all’epoca dei fatti il sostituto procuratore del tribunale di Cagliari, Danilo Tronci, che aveva iscritto sul registro degli indagati altre sette persone nell'ambito dell'inchiesta sul decesso di Sebastian Casula, il 39enne di Carbonia scomparso l'11 luglio 2012 e trovato impiccato a un albero, tre giorni dopo, nella pineta di Monte Leone. 

Tutti e sette sono accusati di favoreggiamento, mentre al primo indagato, finito nel mirino dell’Arma dei Carabinieri nel maggio scorso e indicato come lo spacciatore della dose letale, la Procura contestata la morte in conseguenza di altro reato.  Ed è proprio l'avvocato Gianfranco Piscitelli e l'associazione Penelope che avevano chiesto a più riprese che si approfondissero le indagini: non avevano creduto da subito all'ipotesi del suicidio.