Fu niente meno che Papa Gregorio Magno a riconoscere a Ospitone il ruolo di dux barbaricinorum, in una missiva inviata al capo dei barbaricini per chiedergli di accogliere con benevolenza il vescovo Felice e l'abate Ciriaco, inviati dal Pontefice per evangelizzare il centro Sardegna.

Della figura del capopopolo sardo non si conosce molto, ma nonostante ciò è tutt'oggi ammantata da un'aura di mistero e fascino che la rende immortale.

Vissuto a cavallo fra il V e il VI secolo, all'epoca della dominazione bizantina. Ospitone era un nobile a capo delle popolazioni che abitavano le zone interne dell'Isola. Difficile collocare geograficamente con esattezza la sua area di dominio, che dovette comunque attestarsi nei pressi dell'attuale Ollolai.

Gli unici dati storicamente certi si ricavano dall'epistolario di papa Gregorio Magno. All'epoca Ospitone era in guerra contro il comandante bizantino Zabarda, di stanza a Forum Traiani (l'attuale Fordongianus). Zabarda stava per ottenere la pace con la popolazione barbaricina e stipulare con essa un patto che prevedeva anche la conversione al cristianesimo, cosa a cui ambiva anche il pontefice romano.

E' in questo contesto che compare per l'unica volta in un documento ufficiale il nome di Ospitone. Si tratta di un'epistola, datata maggio 594, nella quale Gregorio Magno si rivolge al Dux Hospiton, unico seguace di Cristo in quel popolo di pagani, e lo invita, come detto prima, ad accogliere nelle sue terre il vescovo Felice e l'abate Ciriaco. Il compito dei religiosi sarà, appunto, quello di cristianizzare le popolazioni barbaricine che adoravano ancora pietre e legni. Non si hanno tuttavia notizie di un'eventuale risposta di Ospitone.

La lettera del Papa è un documento prezioso perché aiuta a capire come, al di là della Romèa (la parte settentrionale della Sardegna, corrispondente all'attuale Logudoro), le popolazioni della Barbària (Barbagia) avevano un proprio governante (che assumeva il titolo di dux). L'entroterra, dunque, sarebbe stato organizzato in ducati autonomi, se non addirittura in regni sovrani rispetto a Roma. Il cristianesimo, ormai diffuso in quasi tutto il mondo conosciuto, non si era ancora affermato nelle montagne della Sardegna, dove la gente praticava ancora antichi culti pagani naturalistici di origine nuragica.

Il rispetto con cui il capo della Chiesa si rivolge a Ospitone, inoltre, è indicativo di come, con tutta probabilità, il leader dei sardi non fosse un semplice e rozzo capo tribù, ma una figura nota oltremare per il suo peso politico e militare.

Don Salvatore Bussu, nel suo libro Ollolai cuore della Sardegna, scrive: «Con le paci di Zabarda e Ospitone, le porte della Barbagia si aprirono agli evangelizzatori Felice e Ciriaco, anche se con esiti non immediati. E’ presumibile, infatti, che l’evangelizzazione sia stata portata avanti dai monaci orientali giunti in Sardegna al seguito dell’esercito bizantino. E fu un’opera molto rispettosa degli usi e costumi già esistenti che non fossero in contrasto col messaggio cristiano. I missionari seguivano al riguardo una direttiva molto saggia che papa Gregorio aveva dato già agli evangelizzatori dell’Inghilterra di non distruggere gli edifici sacri pagani, ma trasformarli in luoghi di culto cristiano e conciliare le esigenze della nuova fede con le vecchie tradizioni a sfondo religioso, cui gli indigeni erano ancora legati. Si ebbe cosi una specie di commistione del vecchio e del nuovo, il quale si affermerà più chiaramente solo col passare dei secoli, pur non riuscendo a spegnere, ma solo a trasformare, certi valori tradizionali».

LA LETTERA DI GREGORIO MAGNO AD OSPITONE

«Gregorio ad Ospitone, capo dei Barbaricini.

Poiché nessuno della tua gente è Cristiano, per questo so che sei il migliore di tutto il tuo popolo: perché sei Cristiano. Mentre infatti tutti i Barbaricini vivono come animali insensati, non conoscono il vero Dio, adorano legni e pietre, tu, per il solo fatto che veneri il vero Dio, hai dimostrato quanto sei superiore a tutti. Ma dovrai mettere in atto la Fede che hai accolto anche con le buone opere e con le parole, e al servizio di Cristo, in cui tu credi; dovrai impegnare la tua posizione di preminenza, conducendo a Lui quanti potrai, facendoli battezzare e ammonendoli a prediligere la vita eterna. Se per caso tu stesso non potrai fare ciò perché sei occupato in altro, ti chiedo, salutandoti, di aiutare in tutti i modi gli uomini che abbiamo inviato lì, cioè il mio "fratello" e coepiscopo Felice e il mio "figlio" Ciriaco, servo di Dio consolatore, e di aiutarli nelle loro mansioni, di mostrare la tua devozione nel Signore onnipotente, e Lui stesso sia per te un aiuto nelle buone azioni come tu lo sarai per i servi consolatori in questa buona opera, e tramite loro ti mandiamo veramente la benedizione di San Pietro Apostolo, che ti chiedo di ricevere con buona disposizione d'animo».