Non parlai per una scelta che a quel tempo "avevo dovuto dissimulare ai miei ex compagni della lotta armata perché avrei messo a rischio la mia vita". E' quanto si legge nei verbali dell'interrogatorio di Cesare Battisti, che ha parlato ieri nel carcere di Oristano di fronte al capo del pool antiterrorismo della Procura di Milano Alberto Nobili, pubblicati sul 'Corriere della Sera'.

Il primo verbale, scrive il quotidiano, si apre con l'ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo "il quale assicura che si sarebbe dissociato già nel 1981 se quell'anno non fosse evaso dal carcere di Frosinone dandosi latitante". Battisti racconta di aver cominciato, dedicandosi a furti e rapine, all'età di 17-18 anni.

"La famiglia era vicina al Pci, lui stesso era stato iscritto alla Fgci prima di passare a Lotta Continua e, come una specie di Robin Hood, "diverse volte - dichiara - ho dato per la causa comunista somme di denaro che arrivavano dai furti e dalle rapine". Finì in galera dove avvenne la trasformazione.

"Fui influenzato da Nicola Pellecchia (un fondatore dei Nap, morto nel 2013, ndr) il cui padre divenne il mio avvocato", dice in base a quanto si legge nei verbali. "Era il 1976 - scrive il 'Corriere della Sera' - quando a 21 anni fu rinchiuso nel carcere di Udine dove incontrò il veronese Arrigo Cavallina che lo fece entrare nei Pac".

A Nobili che gli chiede chi l'abbia aiutato nella latitanza, si legge sul quotidiano, Battisti risponde che in Italia nessuno, all'estero sono stati "partiti, intellettuali e mondo editoriale" a dargli "sostegno ideologico e logistico.

Lo hanno fatto per ragioni ideologiche e di solidarietà. Non so se queste persone si siano mai chieste se fossi responsabile di ciò per cui sono stato condannato", ma "per molti non si poneva il problema", ma "sono stato anche supportato perché mi dichiaravo innocente, perché in molti paesi non è pensabile una condanna in contumacia e perché davo l'idea di un combattente per la libertà".