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Un prelievo fiscale costante è una caratteristica dello Stato moderno che dovrebbe, così, assicurarsi entrate almeno sufficienti per coprire le spese. I problemi di quadratura dei bilanci risalgono ad epoca remota e perdurano anche nella società odierna. Volgarmente si parla di tasse ma in realtà sono le imposte a schiacciare la capacità di spesa e la possibilità di crescita economica di italiani e imprese. Infatti mentre le tasse sono quelle che si pagano a fronte di un servizio che viene fruito, le imposte sono pagate “genericamente” per finanziare la spesa pubblica. In questo conto salato troviamo: difesa, ordine pubblico, giustizia, opere pubbliche, istruzione, sanità, previdenza e tutte quelle spese necessarie al funzionamento dello Stato. Mentre le imposte dirette sono progressive ed incidono sul reddito personale in misura più che proporzionale (irpef), le imposte indirette colpiscono indistintamente tutti gli operatori nel momento in cui il possesso di un reddito si manifesta attraverso i consumi (iva). Il momento impositivo è l’atto del consumo, un momento che caratterizza l’esistenza anche di chi non ha un reddito da dichiarare! L’imposizione fiscale dovrebbe avere un peso proporzionale alla qualità dei servizi offerti. Nei paesi scandinavi ad una alta imposizione corrisponde una ricca offerta di servizi di alta qualità, mentre negli Stati Uniti d’America, dove l’imposizione è inferiore al 40%, molti servizi non vengono forniti (sanità, college, etc).
In Italia la pressione fiscale è tra le più alte in Europa, eccessivamente stringente al collo dei contribuenti che, di contro, possono usufruire di servizi di bassa qualità.
L’indebitamento nei bilanci degli Stati moderni è condizione fisiologica e conveniente fino a che il rendimento dei capitali raccolti da terzi/cittadini è superiore al costo del finanziamento. In condizioni simili l’effetto leva ha effetti positivi. Non è il caso dell’Italia dove il deficit ha raggiunto dimensioni insostenibili. Per lenire il debito lo Stato, dunque, può emettere Titoli di Stato e dovrà evitare l’eccessiva stampa di cartamoneta che provocherebbe una svalutazione monetaria uguale solo ad un aumento dei prezzi. Ciò avvenne storicamente dopo le due guerre mondiali in un contesto in cui lo Stato, per liberarsi dei debiti, provocò un’ingente inflazione. Attualmente la moneta unica impedisce che la svalutazione si manifesti in un singolo paese e questo determina maggiore sicurezza ma richiede vincoli precisi ai Governi aderenti. Il problema dell’euro, e conseguentemente della terza maggiore svalutazione monetaria nella nostra storia, è stato il modo di fare all’italiana: il perseguimento di facili guadagni ha permesso/fissato dei prezzi raddoppiati che hanno immediatamente eroso della metà il potere d’acquisto della moneta in un contesto assolutamente manchevole di una seria regolamentazione dei prezzi, in cui stipendi e salari sono rimasti alla dimensione della lira.
Una condizione simile è ulteriormente aggravata dal comportamento di chi, con scarso senso civico, sceglie di non versare allo Stato le imposte previste dalla legge. In Italia l’evasione fiscale è particolarmente intensa e percepita quasi come una furberia anziché come un danneggiamento oltre che verso lo Stato, che con mezzi limitati potrà rendere meno servizi, anche verso tutti coloro che le pagano. Una ristretta base imponibile si traduce, infatti, in un prelievo maggiore verso coloro che pagano onestamente. Controlli poco accurati e pene poco severe alimentano una prassi consolidata e dannosa che favorisce gli sprechi e la corruzione. Non si sta discorrendo del comportamento di chi deve scegliere tra pagare le tasse o mangiare, che dallo Stato va sostenuto, ma del vergognoso perdurare dei grandi evasori in cui è radicata la mentalità di sottrarre entrate allo Stato gravando sulla società regolare come macigni in un’esistenza quasi parassitaria. Si discorre di chi usufruisce di borse di studio ma che si