Fra le tante voci che continuano a intervenire in merito alla vita e alla storia criminale di Graziano Mesina, oggi che l'ex latitante di Orgosolo è stato sepolto nel cimitero del suo paese natale, quella di Luca Locci è particolarmente forte ed emotivamente coinvolta.

«ALCUNI SEQUESTRATI NON TORNARONO A CASA NEPPURE DA MORTI»

L'uomo, oggi imprenditore nel settore delle automobili, venne rapito nel 1978 a Macomer quando aveva appena 7 anni e rimase nelle mani dei banditi per 93 lunghissimi giorni. In queste ore, leggendo le parole dei tanti che accusano i magistrati di essersi accaniti su Mesina impedendogli di tornare a casa per trascorrere gli ultimi giorni della sua vita in famiglia, Locci ha espresso il suo punto di vista via Facebook. «Ma non credete che tutti gli ex sequestrati, per tutto il periodo della loro prigionia, non abbiano chiesto ogni santo giorno di poter tornare nel proprio paese, nella propria abitazione fra i propri cari. Qualcuno ha deciso per loro che non era fattibile», esordisce l'imprenditore.

E ancora: «Chiedevano una detenzione più umana e rispettosa, ma anche questo non è stato possibile, qualcuno purtroppo non ha fatto rientro a casa neanche da morto. Lo dico per quei personaggi pseudo pubblici, ai quali probabilmente sta sfuggendo un po' di mano la cosa. Poi, di fronte alla morte, Totò già nel 1963 con "La livella" fece una disamina ineccepibile».

Un atteggiamento di distacco e condanna nei confronti dell'ex primula rossa del banditismo sardo, alimentato certamente dai fantasmi di un passato difficile da rimuovere per quel bambino strappato ai genitori e trascinato nel buio della prigionia da una banda di malviventi poi individuati e condannati.

IL SEQUESTRO LOCCI

Erano le 19,30 del 24 giugno 1978 quando a Macomer venne rapito il piccolo Luca Locci, di appena 7 anni. La famiglia Locci aveva trascorso la giornata al mare a Bosa, per poi rientrare a casa alla sera. La madre del piccolo, Paola, era appena salita a casa quando Luca, attardatosi con degli amichetti fuori da casa, venne rapito dai banditi.

Una volta resasi conto dell’accaduto, la madre diede l’allarme. Nessuno si era accorto o aveva visto nulla. L’intero paese, quella sera, era impegnato a seguire davanti alla tv la finale per il terzo e quarto posto della Coppa del Mondo in Messico fra Italia e Brasile. Il papà di Luca, Franco, concessionario della Fiat e pilota automobilistico, quel giorno era lontano da casa perché impegnato in una gara a Macerata. Quello di Luca Locci fu il secondo sequestro di un bambino in quell’anno. Ad aprile, infatti, l’undicenne Mauro Carassale, figlio di un commerciante di Olbia, fu rapito a Portisco.

93 GIORNI DI PRIGIONIA

Il piccolo Luca rimase nelle mani dei banditi per 93 giorni. Si seppe dopo che il nascondiglio era una capanna dove il bimbo veniva tenuto legato ed incappucciato. Venne rilasciato il 25 settembre del 1978 nelle campagne di Lula dopo il pagamento di un riscatto di 300 milioni di lire. Il fatto venne seguito con apprensione dall’intera opinione pubblica nazionale, che rimase col fiato sospeso assieme alla famiglia fino al giorno del rilascio.

«Ho ancora nitidi i ricordi di quei giorni – raccontò Luca Locci anni dopo in un'intervista – un’esperienza che ha segnato me e la mia famiglia per tutta la vita. Avevo sempre un cappuccio in testa che mi levavano per mangiare, però loro erano sempre dietro e mi dicevano di non girarmi, perché se li avessi visti in faccia mi dovevano ammazzare».

Per il sequestro vennero condannati in secondo grado alcuni giovani barbaricini.