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La musica è un linguaggio universale, che accompagna l’uomo dall’alba dei tempi. È stata strumento ogni volta di innovazione, adesione al canone o ribellione; ha aiutato e aiuta a superare le barriere imposte dalle culture.
La capacità comunicativa della musica scavalca i limiti imposti dalle parole, rappresentando la lingua dello spirito. La sua segreta corrente vibra tra il cuore di colui che canta e l'anima di colui che ascolta.
Dormimi in su coro è il nuovo singolo di Luciano Pigliaru, con la partecipazione di Maria Luisa Congiu e dei Cantori di via Majore, uscito il 10 aprile. Maria, figlia di Luciano e ispiratrice del brano, ha partecipato alle riprese del video musicale. Al suo bellissimo volto e sguardo è affidato un messaggio dolce e potente: rappresentare tutti i bambini del mondo.
Dopo "Sa Notte 'e sa Jana" e "Pinturas" i due cantautori tornano con un nuovo sodalizio artistico. Stavolta affrontano, con sensibilità e delicatezza, il tema dell'infanzia, le preoccupazioni di un genitore che cresce il proprio figlio in tempi non facili e, spesso, privi di quelle certezze e guide che hanno invece caratterizzato l'infanzia del genitore stesso.
A un mondo che corre sempre più veloce arriva l'invito a godere, vivere con calma, quasi assaporando, quel momento in cui diamo la buonanotte ai nostri figli, augurando loro il meglio che ogni genitore vorrebbe per il proprio tesoro.
L'augurio che gli autori vogliono rivolgere a questo brano è che possa far parte per molte famiglie di quel particolare momento, "la buonanotte", intimo e delicato, ricco d'amore genuino, aggiungendo valore e, magari, restituendo suggestione e importanza a uno "spazio della giornata" che volge al termine.
Folgorati fin dal primo ascolto da un tripudio di emozioni, abbiamo chiesto a Luciano di raccontarci di più sul brano e su di sé.
Come nasce il tuo nuovo progetto “Dormimi in su coro”?
“Da una poesia che ho scritto durante la pandemia, vedendo mia figlia sdraiata sul divano. Dopo un po’ di tempo che era finita nel cassetto, ho chiamato Maria Luisa -era da un po’ che non si cantava assieme- e ci siamo messi al lavoro nel mio studio, a Nuoro: io avevo il testo, lei questa melodia. Abbiamo steso la canzone in metrica ottenendo un buon risultato.
Sono quindi andato da Gianluca Gadau (che ha suonato le parti di chitarre e basso) per arrangiarla e lì abbiamo pensato, d’accordo con Maria Luisa, che si poteva coinvolgere un coro sardo. E chi meglio di Alessandro Catte poteva darci una mano per un arrangiamento corale? Avendo studiato alla scuola di Mogol, Alessandro è ferrato non solo in direzione corale ma anche in musica pop. Gli abbiamo dato il brano e lo ha reso un capolavoro; era già bello in partenza (melodia orecchiabile, ben arrangiata da Gianluca, testo e tutto il resto), ma… devo proprio dire che questo coro l’ha fatta esplodere!
Questo accadeva prima dell’estate. Essendo tutti molto impegnati per la stagione imminente, abbiamo deciso di ultimare il progetto in inverno/primavera. Per l’ambientazione del video siamo andati in questa meravigliosa casa museo ad Oliena, Il cortile dei ricordi, e con Mattia Murru (alias TWave Edit) abbiamo realizzato il video. Che, il 10 aprile, ha finalmente visto la sua prima luce!”
Ripercorriamo un po’ la tua storia musicale: quali sono le tappe più significative?
“Ho iniziato a studiare canto alla tenera età di 15 anni, con una grande insegnante: Antonietta Chironi. Studiavo canto lirico, ma la carriera lirica non mi entusiasmava particolarmente. Ero molto appassionato del cantautorato di quegli anni: Fabrizio de André, De Gregori, Dalla e tutti i cantautori del periodo. Ho voluto quindi intraprendere la carriera della musica pop leggera, partecipando anche a dei concorsi -per esempio a diciotto anni arrivai secondo a Castrocaro Terme-. Nel 1995, assieme a Gigi [Sanna, ndr], ho fondato gli Istentales, restando con loro per nove anni. Nel 2004 ho intrapreso la carriera solista.
Tra i ricordi più significativi, le tournée con Pierangelo Bertoli (assieme agli Istentales), da solista con Antonella Ruggiero e in molti angoli di Sardegna e di Italia ma anche all’estero, per i conterranei emigrati.
Penso che a quei tempi ci fosse più libertà espressiva, con maggiore attenzione ai contenuti e senza il timore negativo del politicamente corretto. La mia generazione aveva Boy George, George Michael… Renato Zero, che negli anni Settanta affrontava apertamente il tema dell’omosessualità. E mai si pensava di mettere in dubbio il valore artistico per le loro idee o per gli orientamenti.”
“Senza la musica la vita sarebbe un terribile errore” diceva il filosofo Schopenhauer. Cosa rappresenta per te la musica?
“La musica è la vita, fin da quando sono bambino! Ho avuto la fortuna di avere un padre che era un cantante a tenore; girava già i palchi negli anni Sessanta-Settanta. Era un uomo del 1930, quindi se vogliamo coi paraocchi per certe cose, ma che da subito ha assecondato il mio desiderio di fare il musicista, aprendomi tutte le porte. Mi ha aiutato in tutto e per tutto, non ha insistito affinché studiassi per una carriera da ingegnere o da dottore. Mi ha da subito indirizzato, e supportato enormemente, agli studi da musicista.
Son felice di averne fatto la mia ragione di vita: la mattina mi sveglio e la prima cosa che faccio è ascoltare una canzone… il mio caffè è accompagnato dalla musica!
Una cosa per me molto bella, intrapresa da qualche anno, è trasmettere il mio sapere, la mia esperienza ai ragazzi della Scuola Civica musicale di Sarule. Il comune mi ha dato piena fiducia permettendomi di gestire al meglio ed in totale autonomia l’insegnamento. Ogni anno riesco a coinvolgerli pienamente e il percorso culmina in un saggio, dove i ragazzi portano ben quattro brani a testa, alcuni scelti da me e altri -cosa per me fondamentale- da loro, cimentandosi anche in esecuzioni corali. Cosicché lo studio della musica non sia solo la proposta delle idee del maestro ma un’occasione di coinvolgimento, di confronto e riflessione e di approfondimento/esposizione dei brani per loro significativi, potendo sviluppare pensiero autonomo.
E poi ogni anno -oltre a studiare la storia della musica- prepariamo un evergreen: dopo Knockin’ on Heaven’s Door e Lucio Battisti, quest’anno ogni ragazzo sta lavorando su un brano di Mango!”
Nella genesi di un brano, nascono prima le parole o la musica?
“Dipende! A volte hai una melodia in testa e ci componi intorno il testo, altre hai la poesia e ci adatti una melodia. Prendo come esempio alcuni brani scritti a quattro mani con Maria Luisa [Congiu, ndr], con la quale abbiamo un feeling stupendo: per Pinturas -nostro primo brano a quattro mani- lei mi ha dato il testo ed io ho elaborato la musica. Viceversa, per Dormimi in su coro, io avevo già un testo mentre Maria Luisa aveva la musica, e abbiamo provveduto a unirli e adattarli. Così è nato il nuovo singolo!”
Tra tutti i tuoi brani ne hai uno preferito, o comunque uno cui sei più legato o che ti ha emozionato particolarmente?
“A Manneddu, canzone che ho scritto anni fa per mio nonno paterno. Manneddu significa proprio nonno, in orunese. Centenario (era del 1900 e ha vissuto ben 103 anni!), a Orune era una persona stimatissima, il cui ricordo è ancora vivissimo ancora oggi, come posso constatare ogni volta che ci vado!
Aveva ben undici figli, nessuno dei quali ha mai dato o avuto problemi -pure con la giustizia-… cosa tutt’altro che scontata, ai tempi, in un paese come Orune! Perché era lui il primo a dare l’esempio di cosa fosse l’onestà, la rettitudine e la giustizia, come dimostrato (lo dico con orgoglio e commozione) dalla presenza del picchetto d’onore che lo ha accompagnato durante l’ultimo saluto.
Nella canzone ho descritto la sua storia: una vita da pastore e da ortolano, campando undici figli con nient’altro che lavoro e sudore della fronte, riuscendo a non far mancar loro alcunché e a sistemarli tutti. E pensare che, coi tempi che corrono, è difficile riuscire a sistemarne due di figli! Un uomo se vogliamo anche più avanti, di mente più aperta rispetto mio padre, che capiva che ogni generazione ha i propri tempi e le proprie espressioni.
Ricordo un episodio divertente: è sempre stato in salute, una fibra più che tenace; ha sperimentato il primo fastidio a ben 85 anni! Stavamo andando, con mio padre, a prenderlo per andare a caccia, e lo trovammo seduto davanti al caminetto, con la mano sulla guancia: “Oggi mi sa che non vengo, non sto bene… mi si muove un dente!” Chissà cosa gli sembrava questa prima esperienza col dolore!”
Pensi che la lingua sarda, che purtroppo nel panorama nazionale non ha la stessa fortuna del napoletano, rappresenti un limite di esportazione per i brani?
“Io ho fatto una scelta: scrivere solo ed esclusivamente in sardo. Non riesco a fare diversamente, non mi viene l’ispirazione! Dunque, sia che rappresenti un limite sia che non lo rappresenti, è la mia scelta e la adoro così!
Però, vorrei ricordare che i Tenores di Bitti sono stati selezionati alla Real World Records come gruppo per rappresentare tutta l’Italia e che, quando vanno al Madison Square Garden di New York, fanno il pienone [per non parlare delle collaborazioni con diversi artisti internazionali quali Lester Bowie, Ornette Coleman e Frank Zappa, ndr]. Non ritengo quindi la lingua sarda una limitazione… direi piuttosto che la limitazione è quella che ognuno decide di mettersi, -di fatto- autolimitandosi! Se io scrivo in lingua sarda cerco di raggiungere quante più persone possibili. Se certe persone non le raggiungo, è perché non vogliono essere raggiunte, secondo me!”
Progetti per la nuova stagione?
“Concerti in tutta l’Isola, promuovendomi da solo come -da tanti anni- ho scelto di fare e andando ovunque mi chiamino. La mia musica deve essere per tutti!”
Un sogno nel cassetto?
“Continuare a lavorare e a vivere con la musica per tanti anni!”
Un consiglio o un messaggio per le nuove generazioni?
“Non ritenetevi mai arrivati, c’è sempre da imparare! Come diceva, saggiamente, mio nonno gai si mori su vezzu: imparande [così muore il vecchio: mentre impara].”