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La settimana scorsa, a Sassari, vicolo del Campanile, nel suggestivo quanto ancestrale ambiente rupestre ubicato all’interno del circolo Ticcu Socialclub,
Luigi Lai, il suonatore di launeddas per antonomasia, ha presentato il libro dal
titolo semplice quanto il suo stesso protagonista: “Luigi Lai – MAESTRO DI
LAUNEDDAS”, edizioni Beranu.
L’opera, a cura di Gabriele Congiu, si presenta esteticamente gradevole e
attraente, anche perché impreziosita nella copertina da quei caratteri resi dorati
e argentati che sembrano evocare la brillantezza della personalità, quella di Lai,
appunto, di elevatissimo spessore, che emerge dalle parole del libro. Nel quale,
al contrario di ciò che può far pensare il titolo, che ne cela la sorpresa, non si parla solo di launeddas. Vengono alla luce, infatti, attraverso i racconti del maestro, spaccati di vita che sono lo specchio delle nostre piccole comunità dagli anni ’40 in poi del secolo scorso.
Luigi Lai scrive nella sua opera e parla anche durante la presentazione di se
stesso e del mondo che lo circonda a tutto tondo. E non per mero narcisismo o
mania di protagonismo, caratteristiche che non gli appartengono, quanto,
piuttosto, perché sin dall’età di 8 anni la sua vita ruota (termine che inteso come
sostantivo diventerà una metafora della sua esistenza: ruota come movimento,
dunque come libertà di pensiero e di viaggiare per imparare e conoscere)
intorno alla passione che ne conquista e ne pervade prima il bambino e poi
l’uomo, senza perderne, sino ad oggi che di anni ne ha 86, smalto e intensità.
Il primo incontro con le launeddas, suonate nella circostanza da un pastore di
pecore quasi come controcanto dei suoni della natura in un inizio di primavera
con le campagne in fiore, fu un amore a prima vista. “Rimasi folgorato da un suono che mai prima di quel momento avevo udito, ne ero estasiato”, racconta oggi il maestro.
Il primo strumento non tardò ad arrivare e sancì un'unione indissolubile, d’incanto assoluto.
Forte e salda come il matrimonio con una grande donna, la moglie Rosina, la
principessa della sua vita di cui rimase infatuato quando la vide per la prima
volta all’età di 15 anni, lui ne aveva 20. Nel libro, il maestro parla
invariabilmente di lei e di se stesso come fossero la stessa persona, mentre,
durante la presentazione, la sua metà ascolta il marito con dolcezza, serenità e
discrezione. Qualche passaggio del suo racconto coinvolge emotivamente anche
lo stesso pubblico presente, colpito dalla freschezza e dall’efficacia delle parole
di Luigi Lai, che sembrano trasferire l’uditorio verso i luoghi e contesti
temporali del racconto.
Il Maestro parla di sé senza riserve, con una trasparenza e una libertà di
pensiero che fanno onore agli uomini veri, a quelli che per quanto non perfetti,
come tutti, hanno nel loro dna inamovibili principi morali, fatti di serietà e
rispetto del prossimo, che sono una costante della sua vita.
Esce fuori, dalla lettura del libro, un uomo dalla forte personalità, fedele alla
persona che vuole essere, capace, anche in chiave di autocritica, di stigmatizzare
la necessità dell’ascolto degli altri in una società di cui si è sempre membri,
almeno che non si voglia vivere in solitudine. E Luigi Lai, sin da piccolo, ma
soprattutto dopo il periodo adolescenziale, mostrava tutt’altre caratteristiche
rispetto alla voglia di stare fuori da qualsiasi forma di socializzazione.
Al contrario, cercava insistentemente risposte alla sua inesauribile ansia di
sapere, di conoscere, soprattutto in funzione di una preparazione e di una
cultura musicali, ma non solo, da cui neppure un suonatore di launeddas poteva
più prescindere, pena il rischio della stessa scomparsa dello strumento.
In tal senso, sia le istituzioni scolastiche, sia le scuole di musica, erano, per il
giovane Luigi, dei sogni se non del tutto proibiti, sicuramente di difficile
realizzazione, complice una società avara, in quel periodo, di livelli di istruzione
in tutti i campi.
Insomma, la sua sorte sembrava destinata verso quella mortalità scolastica che avrebbe gettato nello sconforto anche intere generazioni successive. San Vito era un paese economicamente povero, come tantissimi altri della Sardegna, e poi gli effetti del secondo conflitto mondiale facevano il resto.
"In quel periodo, non avevo fame solo di cibo - scrive il maestro nel libro -,ma avevo anche fame di musica e di conoscenza".
Però, quello che ancora era un ragazzino si ribella. È determinato, e con l’aiuto
dei genitori segue con caparbietà tutto quello che il paese e lo stesso Sarrabus è
capace di dare. Ma non era comunque semplice, a partire dall’iscrizione alle
elementari. "Quando mio padre mi portò a scuola per iscrivermi alla prima
elementare - racconta il maestro durante la presentazione - l’impiegato disse
che era preferibile che io andassi a pascolare le pecore, perché gente per leggere
e scrivere ce ne era già". La scuola elementare e i corsi di launeddas e di
musica associati anche ad altri strumenti, però, avranno la meglio.
Tra questi ultimi, sboccia un’altra passione, quella della fisarmonica, che affianca
alle launeddas durante le trasferte nei paesi vicini, ma anche più distanti, che
Luigi raggiunge inizialmente a piedi, poi in bicicletta e in seguito, con i suoi
piccoli, ma importanti risparmi, "con la mia Lambretta e poi con una
Topolino".
Non basta, però. L’ambizione del giovane non si ferma, San Vito gli appare un
vestito troppo stretto e anche nella musica sente di dover imparare molto, ma
molto più. È troppo ambizioso l’enfant prodige delle launeddas, nessuno lo può
fermare. A 24 anni spicca il volo, raggiunge la Svizzera, trova un lavoro che gli
consente di vivere e il resto, ma per lui è la parte più importante pensando al
futuro, è solo musica, studio e ancora studio.
"Viaggiare per me è stato un arricchimento sia di cultura che di anima - racconta il maestro -, mi ha allargato gli orizzonti mentali, fatto conoscere tante realtà diverse dalla mia e mi ha dato modo di confrontarmi e mettermi alla prova".
È quella voglia chiamata, appunto, ambizione, che gli consentirà, infatti, di acquisire un bagaglio solido e adeguato di conoscenze prima di fare rientro nella sua Sardegna e spianare la strada del recupero e della valorizzazione delle launeddas, attraverso un impulso e un rilancio anche in chiave di sperimentazioni musicali con altre culture.
Rientrato dalla Svizzera nel '71, tanta gente si ricorda ancora di lui, che riprende
a frequentare le feste e le piazze di tutta l’Isola persino in veste rinnovata: ora
come musicista (suona il saxofono) di una formazione musicale da egli stesso
fondata, il “trio Lai”, ora nell’antico quanto riemergente ruolo di suonatore di
launeddas.
Sono gli anni in cui nasce la collaborazione con Angelo Branduardi e, a seguire,
con tanti altri artisti di livello internazionale. Con i quali Lai ha l’opportunità, la
bravura e le competenze per sdoganare definitivamente lo strumento dai
perimetri domestici e proiettarlo, quello che era il suo sogno quando ancora
ragazzo, in un meritato scenario mondiale, come scritto nel libro e sottolineato
dallo stesso maestro durante la presentazione.
Il successo con le launeddas e delle launeddas arride finalmente alle ambizioni
del musicista e del suonatore. Siamo negli anni '80: un’altra tappa, una vera e
propria svolta storica, segna il futuro dell’ancestrale strumento. Che si rivela
attraverso la prima scuola pubblica di launeddas, istituita a Cagliari nell’ottobre
del 1982 con il patrocinio dello stesso comune del capoluogo, con una forza
affascinante e dirompente allo stesso tempo.
I corsi dell’antica musica, nell’arco di un decennio, si diffonderanno un po’ in
tutta l’Isola, figli di quel seminatore d’oro e grande traghettatore che risponde
alla persona di Luigi Lai: la stessa che agli inizi degli anni '40, da ragazzino,
andava a piedi, o con una bicicletta con i cerchi avvolti di stoffa in sostituzione
delle gomme lacerate e non più sostituibili per difficoltà economiche, a
Villaputzu da colui, Antonio Lara, che con Efisio Melis occupava il trono delle
launeddas nell’Olimpo degli dei. Un trono dove, dopo i suoi due maestri, c’è
proprio lui, Luigi Lai.
Oggi, il maestro è un giovane di 86 anni, perché così ce lo consegnano i due
amori della sua vita: prima le launeddas, in ordine di tempo, poi la moglie Rosina
(a cui dedica un intero capitolo del libro), affascinata, quando ancora
quindicenne, da quel ragazzo che sul palco giocava e divertiva con la musica dei
sonus de canna. Da allora sempre insieme, così come la settimana scorsa, in
occasione della presentazione del libro della loro vita.
Ad maiora, maestro, e auguri ad entrambi perché Iddio, in cui credete tanto, vi
aiuti lungo un percorso che tutti vogliamo sia lungo quanto più possibile. Con la
presenza costante delle launeddas, le tre canne dell’armonia che si fecero
conquistare, forse, già con la consapevolezza di aver scelto nella persona di quel
ragazzino di 8 anni colui che le avrebbe portate nel 2014 all’Unesco di Parigi,
sull’altare della musica e della cultura internazione, e, finalmente, al
Conservatorio di Cagliari per divenirne docente in sede organica. Quest’ultimo,
rappresenta, però, soltanto l’ultima tappa nella corsa verso la realizzazione dei
sogni del maestro Luigi Lai.
“I sogni non finiscono mai - dice alla fine del suo racconto - quando realizzo qualcosa, raggiungo l’obiettivo e penso già al prossimo".