Era il 19 luglio 1992, esattamente 29 anni fa, quando un ordigno posizionato da Cosa Nostra esplose in via d'Amelio, a Palermo, uccidendo il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Appena due mesi prima, a Capaci, un attentato analogo aveva ucciso Giovanni Falcone e gli agenti che lo accompagnavano.

In via d'Amelio, oltre a Borsellino, morirono Agostino Catalano, la sarda Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. 

Una Fiat 126 imbottita con 90 chili di Semtex-H generò il finimondo sotto casa della madre del giudice siciliano. L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, che raccontò: "Borsellino e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, mentre io ero rimasto alla guida. Stavo facendo manovra per parcheggiare la vettura che si trovava alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l'inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L'onda d'urto mi ha scaraventato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c'erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto".

Borsellino era consapevole del destino che lo attendeva. Dopo la morte del collega e amico Falcone ripeteva spesso: "Ora tocca a me". Da allora il suo lavoro era proseguito a ritmi serrati e annotava tutto nella sua agenda rossa, un vero e proprio diario sparito dalla sua valigetta pochi minuti dopo la strage in quello che ancora oggi è solo uno degli innumerevoli misteri di quegli anni e di quella vicenda.