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Domenica 5 dicembre, nella mezza mattinata di una giornata in cui anche il cielo sembrava essere un’allegoria della vita tra il buono e il brutto tempo, la buona e la cattiva sorte, la Corona d’Alloro portata da due generali in congedo dell’Esercito Italiano, Angelo Mura e Dante Tangianu, e al centro di un lungo corteo formato da autorità militari, civili, religiose e da numerosi cittadini di Magomadas, ha lasciato la Casa comunale per raggiungere il Monumento ai Caduti sotto l’incalzare fiero e imperioso di Dimonios, l’ormai leggendario Inno dei Diavoli Rossi della mitica Brigata Sassari.
Erano presenti, tra gli altri, i generali in congedo Giandomenico Pintus (già C.te della Regione Militare della Sardegna) e Nicolò Manca (primo C.te sardo della Brigata “Sassari”), il colonnello Vittorio Gisonni (C.te del Reggimento Genio di Macomer) e il colonnello in congedo Andrea Alciator, il tenente Francesco Colapietra (vice C.te dei Carabinieri di Macomer), la bandiera dell’associazione combattenti e reduci e militari in congedo di Magomadas e Bosa, il labaro dell’A.N.B.I. di Arborea, i rappresentanti della Marina Militare, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza di Bosa, gli ex sindaci di Flussio, Modolo, Suni e Tinnura, il parroco di Magomadas, don Andrea Manca e la Fanfara dei Bersaglieri di Dolianova diretta dal maestro Alberto Cugia.
La preghiera e il ringraziamento che la piccola, sobria e commossa comunità della Planargia ha voluto tributare alla memoria del Milite Ignoto, ha avuto inizio ancor prima della mesta processione, allorquando il Sindaco Emanuele Cauli ha dato luogo al rito del conferimento della cittadinanza onoraria all’Eroe della Grande Guerra che rappresenta e che ha l’identità di tutti i suoi commilitoni scomparsi senza poterne accertare il nome per consegnare le spoglie alle loro madri, alle loro spose, ai loro famigliari.
È in questa cornice di profonda carica emotiva che anche Magomadas ha voluto materializzare e rendere ben visibile l’eterno abbraccio ai suoi Eroi scomparsi senza poter essere riconosciuti, con una sorte avversa anche oltre la morte: neanche un corpo su cui piangere.
E lo ha fatto, Magomadas, dedicando anch’essa il suo Altare, un cippo di basalto, al Milite Ignoto su cui poter posare il dolore, le angosce e i ricordi di tutta una comunità, scaturiti e legati alla perdita di quei figli che hanno dato la vita per la Patria e inghiottiti nel buio di una terra lontana.
Un dolore e un’angoscia rappresentato attraverso una continuità generazionale che ha visto due donne, una sposa e una madre vestite a lutto che nello spirito, ma anche nei tratti fisici ed emozionali, hanno rivelato quanto la comunità magomadese sia ben stretta ai valori della Famiglia e della Patria. Valori ben espressi, 100 anni fa, con le poche quanto sublimi parole, proprio in una scritta apposta sul frontone della basilica romana di Santa Maria degli Angeli, dove il Feretro del Milite Ignoto rimase dal 2 alla mattina 4 novembre, giorno della cerimonia solenne della sua tumulazione nel Sacello dell’Altare della Patria: “Ignoto il nome/folgora il suo spirito, dovunque è Italia;/con voce di pianto e d’orgoglio/dicono innumeri madri:/è mio figlio”.
Il valore simbolico della scultura marmorea che si erge al centro del prato verde dell’Area Sacra, come l’ha definita nel suo intervento il colonnello in congedo Luciano Sechi, di Magomadas (autore di Dimonios), è stato reso ancora più espressivo, intenso e toccante per l’idea dello stesso Ufficiale di munire il cippo di significativi piccoli sassi bianchi del greto del Piave e di cospargerlo alla base con una manciata di terra del cimitero dello Zerbio, con lo scopo di avvicinare, ancora di più, in un’unica residenza dello spirito e del dolore i luoghi di combattimento e di morte con il territorio che ha offerto i propri figli alla causa della Libertà, che è quell’infinito valore da difendere per onorarli e ringraziarli.
Poesia di Luciano Sechi
Cale nomen, cale sambenadu
deppimos ponner in sa trista losa?
Chie est cudda mama dolorosa
ch’a su sinu t’aiat allattadu?
Cale balla sa vida t’at truncadu
Occhindedi cun boghe orrorosa?
Ses in s’Altare, solu, disconnotu
Frade, isposu, e fizu de tottu.