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Nel 2008 il suo trionfo ad "Amici di Maria de Filippi", nel 2009 la vittoria a Sanremo, sette anni fa l’incontro con Sirio Campedelli, nel 2018 il coming out nel salotto di Barbara d'Urso e oggi il nuovo album “Mala Suerte”.
Il cantante cagliaritano Marco Carta, 36 anni, ripercorre le tappe fondamentali della sua vita in un’intervista a Vanity Fair.
“Ho nove dischi alle spalle, e il repertorio non mi manca. Vorrei tornare a cantare e riprendere il ritmo. Una volta uscito l’album, poi, vorrei pensare a una tournée vera e propria”, inizia a raccontare Marco Carta che poi parla della sua omosessualità: “Ricordo che i miei amici vivevano le loro prime esperienze ed io, allora, avevo solo il sentore della mia omosessualità. La mia adolescenza risale a quindici anni fa e, benché possa sembrare ieri, il mondo era un posto totalmente diverso da quello che viviamo oggi. Il primo ragazzo l’ho avuto a ventuno anni. La mia identità è sempre stata a fuoco. Nei primi anni, però, trovo fosse difficile per una popstar – etichetta che viene apposta ad ogni giovane che si affacci alla musica – essere se stessa. Ero idolatrato da tutte le ragazzine d’Italia, mi chiedevo cosa sarebbe successo se avessi condiviso quel che avrei tanto voluto condividere”.
Il suo compagno, Sirio. “Mi piacerebbe molto sposarmi, e di certo lo farò – dice il cantante -. Prima, però, vorrei si esaurisse l’emergenza sanitaria. Vorrei ricordarmi il giorno delle mie nozze per tutta la vita, festeggiare con gli amici e una serenità che sia vera e totalizzante”.
Alla domanda della giornalista di Vanity Fair “Un tempo, ha manifestato anche il desiderio di essere padre. Sopravvive anche questo?”, Marco Carta ha risposto: “Sì. Ne parlavo l’altro giorno con un amico. Trovo triste che in Italia una coppia omosessuale non possa avere un figlio. L’utero in affitto è una pratica molto lontana dallo spirito ecclesiastico che ha l’italiano, e lo capisco. Però, ci sono migliaia di bambini che crescono senza genitori, in orfanotrofi. Mi chiedo perché non dar loro due papà. Trovo uno spreco che delle creature così piccole siano lasciate marcire in posti senza amore. Io sono cresciuto senza un padre, e mia madre è morta che avevo dieci anni. Sono andato a vivere con i miei nonni, allora, e non mi è mai mancato l’amore. In istituto, ti danno da mangiare, ti danno da bere. Non ti danno amore. L’amore non si compra”.
“Mi piacerebbe adottare e mi piacerebbe mettere al mondo un figlio con un utero in affitto, nome tremendo per questa pratica – spiega il 36enne -. Non la trovo disumana, se all’origine c’è l’atto consapevole e compassionevole di una donna, che decide di aiutare un amico, un familiare, un estraneo. Lo sfruttamento, quello e solo quello, è da condannare”.