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Ho conosciuto Mario Moro e frequentavo la casa dove abitavano la madre e le sorelle, di cui sono sempre stato amico.
Era un ragazzo dai modi gentili e mi voleva bene.
Avevo 21 anni quando nel 1987 facevo il cameriere a Rimini, all’Hotel Rivazzurra, e per tutto il periodo impiegato per cercare il lavoro ero stato ospitato da sua sorella Anna, che oggi non c’è più, ma della quale mi resta dentro il sonoro di tante risate condivise fino a tarda sera.
Mario ogni tanto ci veniva a trovare, sul lungomare estivo, e l’immagine che le cronache dei giornali mi avrebbero offerto negli anni a seguire strideva molto con la persona che a me piaceva tanto.
Ricordo sempre le immagini d’apertura del TG5 e del suo volto sofferente e improvvisamente invecchiato, disteso su quel letto d’ospedale dal quale fece un appello per la liberazione di Giuseppe Soffiantini e dal quale chiese scusa per un omicidio che non commise mai.
Mario morì nei primi giorni di gennaio del 1998 e in tutti questi anni i misteri che hanno avvolto la vicenda di cui è stato protagonista hanno tenuto viva l’attenzione intorno a lui.
Condanna totale per un gesto che non può trovare giustificazioni: il sequestro di persona è un reato e tra i peggiori, punto e basta.
Dispiacere per quel che Mario sarebbe potuto essere e non è stato: un ragazzo che con la sua intelligenza avrebbe potuto percorrere sentieri produttivi di una vita meno sbagliata.
Quando, nell’aprile del 2001, Canale 5 annunciò la messa in onda di una fiction televisiva sul sequestro Soffiantini, accompagnai il giornalista Marco Bittau nella casa di Ovodda dove abitava la madre di Mario, la quale rilasciò un’intervista che all’epoca fece rumore.
“Vogliamo dimenticare e soprattutto vogliamo essere dimenticati”, titolava La Nuova Sardegna, e tra le parole bagnate di lacrime la signora Moro confidava la sua disperazione di madre colpita e travolta da una tragedia enorme come il sequestro dell’industriale, il conflitto a fuoco che ne seguì e nel quale perse la vita l’agente Samuele Donatoni, la morte di un figlio sotto processo anche da morto.
Il caso Soffiantini è tornato prepotentemente di attualità e i misteri continuano a ruotare proprio intorno alla figura di Mario: <<Si disse che Moro fu colpito mentre era nell’auto, - scrive L’Unione Sarda di oggi – ma un imputato raccontò dei tre che gli spararono quando era a terra disarmato>>.
Gli sviluppi del processo porteranno a chissà quali verità e chissà se tutte le verità vedranno mai la luce.
Il rispetto è dovuto per tutte le persone coinvolte in un dramma che al di là delle sentenze non avrà mai fine: madri, mogli, figli e affetti che si ritrovano a frugare nel dolore di un ricordo incancellabile.