Come risaputo, il carnevale in Sardegna è espressione di volti e leggende che nel tempo hanno contribuito ad arricchire la variegata tradizione isolana. Ogni paese vanta usanze e credenze proprie, che di generazione in generazione sono state tramandate fino a giungere ai nostri giorni. A Gairo e Ulassai, ad esempio, esiste un'antica manifestazione carnevalesca chiamata Su Maimulu. E' rappresentata da una delle tipiche maschere del carnevale barbaricino e ogliastrino e, nonostante coincida coi vari riti del Carrasegare del periodo febbraio-marzo, al contempo li precede iniziando il 17 gennaio con "sa primu essia", che avviene in occasione dei grandi falò di piazza in onore di Sant'Antonio (a Gairo) e San Sebastiano (a Ulassai).

SU MAIMULU. Non esiste un'origine certa del nome Maimulu. Secondo alcuni studiosi sarebbe una variante di Maimone, termine che, sempre stando ad alcune ricerche, stava ad indicare l'antica divinità fenicia e protosarda della pioggia. Oggi per Maimulu si intende la mascherata, il periodo carnevalesco o, più semplicemente, la maschera. Durante la manifestazione de Su Maimulu si assiste a un carnevale di maschere orride e ancestrali, che mettono in scena l'atavica lotta tra il bene e il male. Un alternarsi di figure antropomorfe e zoomorfe che ripropongono in chiave grottesca il rapporto uomo-animale e rievocano rituali apotropaici e danze propiziatorie, rimandando a tempi e spazi primordiali.

GATTO VIGILANTE. Ogni figura, maschera e personaggio rappresentati sono oggetto di studio, e raccontano parte della storia di quelle aree radicate nell'entroterra sardo, nelle quali nasce e germoglia il fascino del mito. Un dei volti che appare nelle leggende locali è quello di Marti Perra (a Ulassai Martisberri), un grosso gatto nero che nel giorno de Su Maimulu (Martedì Grasso) aveva il compito di vigilare affinché tutti gli abitanti prendessero parte ai festeggiamenti di Carnevale. Si narra che il felino fosse capace di squartare chiunque fosse stato scoperto a lavorare nei campi nello stesso periodo.

LEGGENDE E TESTIMONIANZE. Presagio del suo arrivo era un ritornello, che recitava: "Non mi neris atò, ca Marti Perra so, deu soi Marti Perra, beniu sò po ti ferriri", ("Non dirmi "atò", perché sono Marti Perra, sono Marti Perra venuto per farti male"). Per "atò" si intende l'espressione utilizzata dagli anziani per allontanare i gatti. Il monito di Marti Perra serviva a far rispettare le usanze carnevalesche, considerate fonte di benessere e motivo di coesione sociale. Da alcune cronache dell’800 emerge il curioso caso di una donna, accusata di aver ucciso il figliastro. La matrigna, tuttavia, attribuì la colpa al demoniaco felino che, secondo il racconto, avrebbe compiuto il gesto per punire la donna, rea di aver lavorato nel giorno de Su Maimulu.