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Recensione al volume di Mauro Dadea e Nicola Castangia, “20 settembre 1870 - 20 settembre 2020. A 150 anni dalla Breccia di Porta Pia. Il contributo di Cagliari all’Unità d’Italia”, Amministrazione Comunale di Cagliari - Voleare, Cagliari 2020. L’opera è disponibile gratuitamente, in formato digitale “sfogliabile online”.
Il 20 settembre 1870, attraverso una breccia aperta a cannonate nelle mura di Roma, presso Porta Pia, il regio esercito italiano fece irruzione in città, rovesciando il millenario regime pontificio e restituendo così alla neonata - o meglio, risorta - Italia la sua capitale storica. Si compiva così il Risorgimento della nostra nazione, iniziato oltre vent’anni prima, nel 1848, con l’insurrezione contro gli austriaci delle città di Venezia e di Milano, allora capitali delle due principali province del Regno Lombardo-Veneto.
L’alfiere di uno dei reggimenti di fanteria protagonista della Presa di Roma, Adolfo Mazzinghi, è sepolto nel Cimitero di Bonaria, in un loculo la cui lunga iscrizione ricorda appunto, tra le gesta compiute dal defunto, «la trepidazione del 20 settembre 1870 quando tra i primi portasti la bandiera del 40° Reggimento attraverso la Breccia di Porta Pia».
Scoperta e pubblicata da Mauro Dadea una decina di anni fa, questa importante testimonianza storica ha quindi suggerito l’idea, maturata in seno all’Assessorato degli Affari Generali del Comune di Cagliari, di promuovere la realizzazione di uno studio che non solo approfondisse la questione specifica ma, partendo proprio dalle tante altre testimonianze materiali presenti nel cimitero monumentale del capoluogo sardo, facesse conoscere il ruolo spesso fondamentale esercitato da Cagliari e dalla Sardegna nel processo risorgimentale italiano e quindi celebrasse ufficialmente, con la memoria dei tanti nostri antichi concittadini e conterranei che vi presero parte, anche il centocinquantesimo anniversario dell’importante ricorrenza nazionale.
L’incarico è andato allo stesso Dadea, lo studioso che già nel 2011 aveva firmato un’importante opera sul cimitero di Bonaria e oggi può ritenersi il suo massimo conoscitore, e a Nicola Castangia, archeofotografo ampiamente noto al grande pubblico per sensibilità e valore artistico.
Il risultato del loro lavoro è stato un volume di oltre 250 pagine in grande formato, in cui, per quanto nell’ottica necessariamente circoscritta del riferimento costante ai monumenti funebri presenti nel cimitero di Bonaria, la storia del Risorgimento italiano viene sviluppata nella sua completezza.
Precedono il testo le ampie e articolate presentazioni dell’assessore Rita Dedola e di Serenella Piras, dirigente dell’assessorato stesso, che orientano utilmente il lettore sui suoi intenti e la sua metodologia.
Il primo dei trenta capitoli del libro consiste in un’analisi dettagliata del “Monumento ai Sardi martiri d’Italia”, eretto nell’omonima piazza in cima alla via Manno nel 1886: è un grande obelisco in trachite, sul quale sono incisi i nomi dei caduti nelle battaglie risorgimentali i cui corpi non poterono essere riportati nell’isola. Opportunamente definito “ormai quasi invisibile” agli occhi dei passanti, per quanto ciò possa sembrare strano esso vede in questo volume la prima illustrazione completa della sua storia e della sua simbologia, oltre a un’attenta descrizione fotografica di tutti i suoi particolari.
Si apprende così che, per onorare i caduti sardi per l’indipendenza e l’unità italiana, fu scelto un monumento ispirato all’antico Egitto perché uno dei primi tra loro, il capitano Tomaso Castelli Diana, il 6 agosto 1848, difese allo stremo la Porta Romana di Milano contro l’avanzata degli austriaci del maresciallo Radetzky, venuti a riprendersi la città, e fu ritrovato in cima a una vera e propria piramide di morti formata da tutti i suoi uomini, sacrificatisi dal primo fino all’ultimo: tanto che lo stesso nemico decretò gli onori militari alla loro memoria.
Autore del monumento era stato il celebre Giuseppe Sartorio, trasferitosi dal natio Piemonte il Sardegna appena da un anno ma subito divenuto il beniamino della nobiltà, del clero e della ricca borghesia isolana, che gli commissionò numerosissime opere. Le più numerose e le più importanti furono collocate proprio nel cimitero di Bonaria, dove si trova anche il Sacrario della Società dei Reduci delle Patrie Battaglie, un grande mausoleo che raccoglie la maggior parte dei sepolcri di antichi combattenti sopravvissuti ai vari conflitti risorgimentali e rientrati nelle loro case.
Vari altri sepolcri di interesse storico si trovano dispersi nel resto del cimitero, come ad esempio quelli di due soldati che ai primi dell’Ottocento, quando erano ancora ragazzi, avevano fatto parte della gloriosa “Grande Armée” dell’imperatore Bonaparte, rivendicandone con orgoglio l’onore fino alla morte, giunta per entrambi in tardissima età. Il loro ricordo (si chiamavano Lorenzo Canibus e Raimondo Bertoglio) offre a Dadea lo spunto per introdurre la storia del tricolore italiano, che originariamente era stato il vessillo della Repubblica Cisalpina, fondata da Napoleone a seguito della sua vittoriosa campagna d’Italia, negli anni finali del Settecento.
La conquista dell’Italia da parte dell’allora giovanissimo generale francese, tra le altre cose, costrinse alla fuga in Sardegna la famiglia dei Savoia, i quali, pure formalmente suoi re dal 1720, ancora non ci avevano mai messo piede, preferendo risiedere a Torino, capitale del Principato di Piemonte. Durante la permanenza della corte a Cagliari, nel 1812, dal re Vittorio Emanuele I e da sua moglie Maria Teresa d’Asburgo Este nacque la principessa Maria Cristina di Savoia, recentemente proclamata beata dalla Chiesa Cattolica. Sua nutrice fu una donna del popolo, Speranza Murru, la cui tomba si trova tuttora nella zona più antica del cimitero di Bonaria.
A proposito del controverso rapporto tra i Sardi e casa Savoia, è interessante notare come nel grande bassorilievo che decora la facciata del mausoleo della Società delle Patrie Battaglie la bandiera dell’Isola sia stata simbolicamente sovrapposta a quella della dinastia sabauda, a ribadire come la salvezza di questa, in periodo napoleonico, sia principalmente dipesa dalle armi e dal valore di quella. Infatti, nel 1793, quando una potente flotta fu inviata dalla Francia rivoluzionaria a conquistare la Sardegna, a reagire e sconfiggerla - unico caso in tutta Europa! - furono i Sardi, organizzatisi in esercito di popolo, visto che l’esercito regolare del re, di stanza nell’isola, si sarebbe invece voluto arrendere.
Fu questa la prima dimostrazione pratica, quantomeno in Italia, di quale forza avrebbe potuto spiegare un’armata popolare, impegnata a combattere per la libertà e l’indipendenza della propria nazione. In sostanza, l’episodio costituì la premessa al pensiero politico più tardi sviluppato da Giuseppe Mazzini e posto in atto da Giuseppe Garibaldi, con le sue armate di volontari.
Rispettivamente discepolo e aiutante di campo di questi due grandi protagonisti del Risorgimento fu il poeta-soldato Goffredo Mameli, il quale, come forse non tutti sanno, era nato a Genova ma da padre Cagliaritano: il contrammiraglio Giorgio Mameli, a sua volta eroe delle lotte portate avanti dalla flotta sarda contro i pirati barbareschi, ancora per tutti i decenni iniziali dell’Ottocento.
A Goffredo Mameli si deve la composizione del nostro inno nazionale, “Fratelli d’Italia”, di cui nel libro di Dadea e Castangia sono riportate le immagini della prima edizione a stampa, risalente al 1850: essa vide la luce appena pochi mesi dopo la morte del poeta, caduto ventenne durante la difesa della Repubblica Romana, il 6 luglio 1849. È questo uno dei vari cimeli originali, tra documenti e altri oggetti, appartenenti alla raccolta privata dell’autore, che sono stati messi a disposizione per arricchire e rendere ancora più coinvolgente il patrimonio documentario del volume.
All’Assemblea Costituente della Repubblica Romana, durata solo pochi mesi e proclamata a seguito della fuga da Roma di papa Pio IX, appartenne tra gli altri Enrico Serpieri, che una volta ripristinato il potere temporale pontificio fuggì esule in Sardegna. Qui fece fortuna, come imprenditore minerario, e divenuto ricchissimo continuò sempre a finanziare le varie spedizioni di Garibaldi, sotto i cui ordini servirono in guerra anche i figli, Attilio e Cimbro Serpieri. Tutti giacciono ora a Bonaria, raggruppati sui due lati di uno stesso viale.
In effetti, dopo che gli entusiasmi di popolo verificatisi a partire dal 1847, in vista di una possibile unificazione politica dell’Italia, ebbero indotto i nostri antenati a chiedere la Perfetta Fusione del Regno di Sardegna con gli stati sabaudi di Terraferma, e, vincendo i proverbiali tentennamenti del re Carlo Alberto, a fargli dichiarare guerra all’Austria, la Sardegna divenne di fatto la principale finanziatrice del Risorgimento e fu caricata di un peso fiscale enorme.
Quindi, se da una parte, nella Prima guerra d’Indipendenza, a vincere la battaglia di Palestro fu il generale Giovanni Battista Manno, sepolto a Bonaria nella cappella dell’Arciconfraternita del Rosario, tutti gli altri sardi pur non partiti personalmente per il fronte è come se vi fossero stati comunque presenti, a causa dei grandi sacrifici economici che dovettero affrontare per finanziare l’esercito.
Il contributo dei Sardi al Risorgimento italiano, comunque, fu rilevantissimo anche in termini di vite umane. Intere famiglie, in vent’anni di continue guerre, furono mobilitate e si trovarono a combattere su numerosi fronti, fino alla lontanissima Crimea, nel 1858. Come ad esempio capitò ai tre fratelli Cugia, Efisio, Litterio e Francesco, che oggi riposano a Bonaria in una delle più belle e più artisticamente significative cappelle gentilizie del cimitero. Efisio Cugia non solo prese personalmente parte a vari combattimenti, venendo anche ferito, ma assurse ai massimi gradi della gerarchia militare e divenne addirittura ministro dello Stato. Litterio Cugia invece, come in precedenza era capitato anche a un suo omonimo cugino, cadde in battaglia.
La cappella Cugia custodisce un delicato gruppo scultoreo, opera dell’artista milanese Giovanni Pandiani, che raffigura la madre e la sorella dei tre militari, Speranza Paliacho Borro e Caterina Cugia, ritratte abbracciate come ad attendere trepidanti il ritorno a casa dei reduci. Questa presenza ha offerto a Dadea e Castangia l’occasione di approfondire il ruolo della donna nel Risorgimento, che fu principalmente di supporto materiale e morale ai combattenti uomini ma che, in non pochi casi - basti pensare alla moglie di Garibaldi, l’eroica Anita - non rifuggì neppure dall’uso diretto delle armi.
Tornando a Garibaldi, il 1860 fu l’anno della celebre spedizione dei Mille, che portò in pochi mesi alla conquista del Regno delle Due Sicilie e alla sua conseguente annessione al Regno di Sardegna, concretizzando così l’unificazione politica della penisola venuta meno un millennio e mezzo prima, alla caduta dell’Impero romano. Nel 1861 fu quindi proclamato il Regno d’Italia.
Tra le camicie rosse protagonista di quella storica impresa vi fu Stefano Efisio Gramignano, di Cagliari, mentre al comando del Lombardo, uno dei due bastimenti della flotta Rubattino che trasportò i volontari da Quarto a Marsala, vi era il suo concittadino capitano Antioco Sitzia, irriducibile patriota già miracolosamente sfuggito alle galere borboniche dopo che, nel 1857, fu catturato durante il primo tentativo di invasione del meridione italiano compiuto da Carlo Pisacane.
Tra i principali finanziatori della “nobile follia” garibaldina era stato Mario De Candia, anche lui cagliaritano, che nei decenni centrali dell’Ottocento fu il cantante lirico più famoso, osannato e ricco del mondo: a lui che pure riposa a Bonaria, nella sua cappella privata, e a sua moglie Giulia Grisi è dedicato un intero capitolo ricchissimo di curiosità e aneddoti.
All’Unificazione d’Italia seguì il tragico capitolo del cosiddetto “brigantaggio politico”, come viene schiettamente definito nell’iscrizione funeraria del tenente Carlo Paglietti, nel mausoleo dei Reduci delle Patrie Battaglie: cioè una generalizzata ribellione degli ex sudditi borbonici ai nuovi dominatori sabaudi che, tra 1861 e 1862, insanguinò il meridione d’Italia fino ad assumere le proporzioni di una vera e propria guerra civile. Vennero poi la Terza guerra d’Indipendenza, nel 1866, con la liberazione e l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, e i vari inutili tentativi garibaldini di risolvere la Questione romana, cioè di conquistare lo Stato della Chiesa e riconsegnare Roma al suo ruolo storico di capitale politica della nazione.
Il papa Pio IX, aiutato dall’esercito francese, si oppose in tutti i modi finché gli fu possibile, ma nel 1870, il 20 settembre, centocinquanta anni fa, ogni resistenza dovette cadere e Roma, attraverso la Breccia di Porta Pia, tornò a tutti gli effetti italiana.
A quel punto rimaneva da affrontare solo la questione delle terre italiane irredente del nord-est, il Trentino, l’Alto Adige e l’Istria, rimaste in mano austriaca, la cui riconquista creò le premesse per lo scoppio della Prima guerra mondiale, che l’Italia può anche annoverare come sua Quarta guerra d’Indipendenza. Esule giuliano in Sardegna, nelle ultime fasi del periodo risorgimentale, fu il celebre geologo Domenico Lovisato, ai piedi della cui tomba, nel Boschetto del Cimitero di Bonaria, la narrazione storica di Dadea e Castangia si conclude, con l’appendice di quattro fitte pagine di doverosi riferimenti bibliografici.
Ben scritto da Mauro Dadea e altrettanto bene illustrato da Nicola Castangia, “A 150 anni dalla Breccia di Porta Pia. Il contributo di Cagliari all’Unità d’Italia” è un libro che si legge volentieri, perfino avvincente nello sviluppo spumeggiante del suo racconto; ma è soprattutto uno studio - mai noioso - totalmente fondato su documenti di prima mano, centinaia di epigrafi e monumenti funerari che, in massima parte, hanno trovato qui la loro prima edizione. Per il suo intrinseco valore documentale, dunque, questo è un lavoro che non perderà mai d’importanza, e, come opportunamente sottolineato nella presentazione istituzionale, «rappresenterà un riferimento fondamentale e imprescindibile, con il contributo della nostra Città, alla conoscenza del Risorgimento italiano».
L’opera è disponibile gratuitamente, in formato digitale “sfogliabile online”, all’indirizzo internet: https://www.sfogliami.it/fl/209298/q6h2vp25pethbdk5mxshvtk98hdf
(Nelle immagini, il frontespizio del libro, in apertura la consegna al Sindaco di Cagliari Paolo Truzzu della prima copia pilota del libro con, da sinistra a destra, Mauro Dadea, Paolo Truzzu, Nicola Castangia, Rita Dedola, Serenella Piras).
In basso, immissione in rete del libro in formato digitale sfogliabile online, da sinistra a destra, il fotografo Nicola Castangia, l'autore dei testi Mauro Dadea, l'assessore agli Affari Generali Rita Dedola e la dirigente dell'assessorato Serenella Piras).