Graziano Mesina, l'80enne ex numero uno del banditismo sardo e detenuto da qualche mese nel carcere milanese di Opera, "rifiuta" le cure e ogni tipo di accertamento diagnostico e quindi non è possibile arrivare ad una "diagnosi certa" sulle sue condizioni di salute. Così il Tribunale di Sorveglianza di Milano, presieduto da Giovanna Di Rosa, ha motivato il no alla concessione del differimento pena con detenzione domiciliare per il più noto esponente del banditismo.

Nel provvedimento si chiarisce che l'opposizione a cure e diagnosi da parte del detenuto non consente di interrompere l'esecuzione della pena per motivi di salute, proprio perché manca un accertamento preciso sulla malattia.

Nella sentenza depositata ai primi di marzo, i magistrati, spiegano che Mesina, a Opera da giugno, si pone "in maniera oppositiva" di fronte alle cure e ai tentativi da parte del personale medico, a cui non offre alcuna collaborazione, di arrivare ad una diagnosi. E le sue condizioni, per quanto possibile, vengono valutate come "apparentemente" discrete. Con questa decisione i magistrati milanesi ritengono che non si possa approfondire il "quadro diagnostico" di fronte al rifiuto del detenuto, non si può dare l'ok a quel punto al differimento pena.

Un profilo giuridico molto simile e in linea con quello che nei giorni scorsi ha portato la Sorveglianza milanese a respingere la richiesta di differimento pena con detenzione domiciliare avanzata dall'anarchico Alfredo Cospito: in questo caso sul punto della "autoinduzione" in uno stato critico, attraverso un consapevole sciopero della fame, che il 55enne porta avanti contro il 41bis.

Mesina, come riportato negli atti, ha deciso di "autodimettersi" dalle cure ai primi di dicembre scorso. Da quel momento per i medici del carcere non è stato più possibile fare esami approfonditi sul suo stato di salute. Per lui, tra l'altro, nei giorni scorsi il Tribunale di Sorveglianza di Sassari (prima era detenuto in Sardegna) ha rigettato l'istanza di detenzione domiciliare avanzata stavolta dai suoi difensori, secondo i quali l'ex latitante sta male a causa dell'avanzare dell'età e della vita troppo sedentaria.