Dopo 34 anni i familiari sono ancora qui a testa alta a combattere l'oblio che tanti vorrebbero scendesse sul disastro della Moby Prince. Dopo 34 anni di sofferenza e di resilienza i familiari non demordono. Vogliamo sapere cosa è realmente successo la drammatica notte del 10 aprile 1991 davanti al porto di Livorno”. Così Luchino Chessa e Nicola Rosetti, presidenti rispettivamente dell’Associazione 10 Aprile-Familiari Vittime Moby Prince e dell’Associazione 140, durante le celebrazioni ufficiali nel Consiglio comunale di Livorno.

I familiari delle 140 vittime si rivolgono alla terza Commissione parlamentare d’inchiesta e “anche ad Eni, società armatrice della petroliera Agip Abruzzo, perché collabori con la commissione nell'accertamento della verità. Chi sa parli”.

In molti hanno messo le mani su questa vicenda – evidenziano Chessa e Rosetti – per inquinare le indagini e non arrivare alla verità. Solo la forza di volontà e la caparbietà dei familiari hanno fatto sì che la storia non finisse nel dimenticatoio”.

La verità, grazie al lavoro di due commissioni parlamentari d'inchiesta, è sempre più vicina. L'aspetto più drammatico è la discordanza tra le conclusioni delle indagini della magistratura e le risultanze delle Commissioni di inchiesta. Com'è possibile che in poco più di quattro anni i commissari hanno capito cosa realmente è successo, a differenza dei molti magistrati che si sono succeduti negli anni?”

E concludono: “La terza commissione deve chiudere il cerchio e completare il lavoro fatto fin qui dal Parlamento dando risposte alle domande ancora aperte: quale era la terza nave che ha fatto virare la Moby Prince? Cosa ci faceva lì? Perché un accordo assicurativo appena dopo due mesi la tragedia? Perché molti, compresi i dipendenti della allora Navarma, dopo una manciata di minuti la collisione sapevano che la nave coinvolta nella collisione era il Moby Prince e non avrebbero detto nulla? Ci appelliamo anche ad Eni”.