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È tempo di vacanze anche per i medici, che negli ospedali della Sardegna d'estate si rimboccano le maniche per non lasciare senza assistenza i pazienti, aumentando il volume di lavoro in quasi la metà dei casi per sopperire a carenze di organico che tra giugno e settembre diventano insostenibili, visto che circa un terzo di loro va in ferie.
Secondo il report della Federazione dei medici internisti ospedalieri (Fadoi) molti fanno gli extra per coprire i turni di notte e il 21% salta i riposi settimanali. Nonostante l'impegno però le attività ambulatoriali diminuiscono nel 31,5% dei casi e chiudono del tutto nel 5% degli ospedali sardi, mentre complessivamente la qualità dell'assistenza sanitaria, richiesta anche d'estate, è compromessa nel 73% dei casi in modo sensibile.
Una situazione che rispecchia quello che avviene anche in larga parte dei dipartimenti di altre specialità mediche. Anche se, come specifica il presidente di Fadoi, Francesco Dentali, "nelle medicine interne le carenze di organico che vanno ad accentuarsi nel periodo di riposo estivo vanno a rendere più critico il quadro per via del fatto che i nostri reparti sono ancora erroneamente classificati come a 'bassa intensità di cura', il che non riflette in alcun modo la complessità dei pazienti anziani e con pluri-morbilità che abitualmente trattiamo nelle nostre Unità operative, che da sole assorbono un quinto di tutti i ricoveri ospedalieri. E questa anacronistica classificazione delle medicine interne implica già di per se una minor dotazione di tecnologie, medici e infermieri per posto letto, che diventa esplosiva nel periodo estivo, quando anche il nostro personale usufruisce del meritato riposo".
Cosa che tra giugno e settembre, secondo l'indagine Fadoi, avviene per la totalità dei medici della Sardegna che usufruiscono dei 15 giorni di vacanze nel periodo estivo, come garantito dal contratto nazionale di lavoro. Questo comporta una riduzione degli organici in reparto che varia tra il 21 e il 30% nel 63% dei casi, tra il 30 e il 50% nel 15% dei reparti, mentre la carenza è tra l'11 e il 20% nel 20% dei casi. Per chi resta il volume di lavoro aumenta nel 58% dei casi e ciò incide "abbastanza" sull'assistenza offerta ai cittadini nel 52% dei nosocomi, "molto" in un altro 21%, "poco" nel 10% dei reparti e nel 15% "per nulla". A risentirne nello specifico sono poi le attività ambulatoriali, che diminuiscono le loro attività nel 31,5% dei casi e chiudono del tutto in un altro 5% degli ospedali. Un altro 36% garantisce invece l'invarianza nel numero e nei tempi delle attività negli ambulatori, che sono rimodulate nei tempi ma invariate nel numero di prestazioni sempre nel 26% di casi.