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Miliardi di sottili, verdi foglie nastriformi ondeggiano all’unisono mosse dalle correnti e dall’andirivieni delle onde: da 40 metri di profondità fino alla superficie, ampi tratti dei fondali marini che circondano la Sardegna, sono coperti da fitte praterie. Si, praterie come quelle che stanno fuori dell’acqua, formate dalla posidonia, una pianta che cresce sott’acqua e che come quelle terrestri produce fiori e frutti. Questa strana pianta, endemica del Mediterraneo, ha un ruolo di straordinaria importanza per la qualità degli ambienti sommersi e per i litorali sabbiosi dell’isola.
Nell’intrico fittissimo delle radici, dei fusti e delle foglie non solo si produce un’enorme quantità di ossigeno, ma si rifugiano, si cibano, si riproducono miliardi di organismi vegetali ed animali. La presenza diffusa della posidonia è denunciata anche dai grandi ammassi di foglie che si accumulano sulle spiagge alla fine dell’inverno: si tratta di un evento assolutamente naturale, un indicatore di buona salute. Anche perché proprio la presenza della prateria sul fondale e l’accumulo dei detriti sulle spiagge riducono o addirittura annullano i fenomeni di erosione sui litorali sabbiosi. Eppure sia le grandi distese sommerse sia gli ammassi di foglie morte non sono ben visti; sono interpretati le prime come inutili distese di alghe prive di vita, gli altri come scomodi impedimenti all’uso delle spiagge.
Niente di più sbagliato: se il mare che circonda la Sardegna è così trasparente, se alla fine dell’estate si leggono agevolmente fondali profondi più di 40 metri, lo si deve anche all’enorme polmone verde delle praterie di posidonia che circonda l’isola. E con le verdi foglie della posidonia il mare sardo racchiude un’infinità di altri gioielli da scoprire: il corallo rosso, le vistose gorgonie rosse e gialle, le grandi cernie, che stanno divenendo sempre più numerose, le aragoste, sempre più rare invece, ed un’infinità di organismi grandi e piccoli dai colori insospettabili e dalle forme straordinarie. Le rocce fin dai primi metri di profondità sono popolate da nuvole di castagnole, da coloratissime donzelle, da piccoli saraghi fasciati e da tordi indolenti: saraghi maggiori e orate sono meno facili da osservare, presenze elusive, sensibili al disturbo dell’uomo.
Al largo e a maggiori profondità nuotano i grandi dentici e fanno le loro incursioni branchi di ricciole. Anche le nude distese di sabbia sott’acqua sono tutt’altro che deserte: di giorno e di notte, gli organismi più disparati sono costantemente in cerca di cibo. C’è chi con la sabbia si confonde come sogliole e rombi, i virtuosi del mimetismo che adeguano il loro colore alla natura del fondo e chi nel sedimento ci si infossa come le tracine, il pesce lucertola e molte specie di granchi. Insieme al complicato intreccio dei paesaggi sommersi e degli organismi che li popolano, sott’acqua giacciono straordinarie testimonianze antiche e moderne di chi ha solcato questi mari. Ancore antiche, di pietra, di piombo e di ferro, anfore dalle mille forme, interi carichi e scafi di relitti raccontano, già dai primi metri di profondità, l’intensità dei traffici marinari che hanno interessato l’isola fin dall’età nuragica.
Così dal mare di Porto Rotondo è tornata alla luce un’ancora litica, di granito sardo, decorato da fregi orizzontali che risale ad almeno 3500 anni fa. Ma le scoperte di questi manufatti, alcuni dal peso enorme, sono sempre più frequenti in tutto il perimetro dell’isola, smentendo clamorosamente il luogo comune di un popolo sardo relegato alle montagne, senza rapporti con il mare ed incapace di navigare. Non a caso l’ancora di Porto Rotondo giaceva sott’acqua a pochi metri di distanza dai resti del nuraghe che dominava il promontorio. Ha fatto scalpore tempo fa la scoperta della nave di Mal di Ventre, di fronte alla penisola del Sinis, per il suo carico di lingotti di piombo di epoca romana: ancora più prezioso e particolare il recupero di un carico di lingotti ed altri manufatti in piombo decorati con preziosi bassorilievi, avvenuto di recente nella costa settentrionale.
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