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Il Carnevale Iglesiente è una festa coinvolgente e ricca di appuntamenti che si conclude con lo spettacolare Rogo di Norfieddu. Le attività si tengono sia nel centro storico, ma anche nel Quartiere di Serra Perdosa e nelle frazioni: si vuole dare alla manifestazione una dimensione popolare, che riesca a coinvolgere tutta la città, e porti in città tanti visitatori.
Fra i divertimenti, oltre ai balli che si tengono sia in piazza, sia nelle case private e nei circoli, spicca quello della mascherata, che consente di occultare la propria fisionomia e di mettere in pratica scherzi sotto la copertura dell’anonimato.
Agli inizi del 1800 ad Iglesias si praticava il lancio delle arance, come ancora oggi si fa ad Ivrea, e le corse a cavallo all’interno della città, soprattutto nell’attuale via Repubblica. Il 10 marzo 1848, il Regio Vicario di Polizia Don Costantino Rodriguez segnalava al Vicerè che “Nei tre giorni di carnevale una clamorosa riunione di persone dilettavansi nel gittare su qualunque soggetto, senza distinzione di ceto, di condizione e di carattere, fiore di stuoja, cruscone e ceneri, compromettendo il buon ordine della città e facendo nascere anche delle risse colla truppa qui stanziata, e nel terzo giorno ingrossò talmente l’adunata che contava da 500 e più persone, tra le quali si vedevano anche Cavalieri, Notai ed altri Signori, e si ebbe qualche disordine nelle case di vari particolari alle quali recavasi la moltitudine per costringere i padroni di casa ad unirsi seco loro”.
Come da tradizione, tutt’ora si rispettano le tre giornate del Carnevale corrispondenti a tre apparizioni: la sera del primo giorno, le maschere girano silenziose per le vie del centro storico con l’intento di liberare la popolazione iglesiente dagli aspetti negativi manifestati durante l’inverno (sospetto, invidia, indifferenza, testardaggine, saccenza, intrigo). Norfieddu è uno spirito e gira libero scatenando il panico e stimolando la liberazione da ulteriori umori negativi che le persone si tengono ancora dentro.
Durante la seconda giornata, i personaggi-vittima, carichi delle negatività che hanno preso al popolo, cercano sostegno per il processo che si terrà nella serata finale, la terza, tra le vie del centro.
Norfieddu, stavolta in veste di un brutto folletto nero come il carbone delle miniere, cerca di difenderle, ma gli atteggiamenti negativi fanno subito strada nei cuori delle vittime e il risultato è solo quello aumentare il panico tra il popolo. Solo la Dea Madre riesce a consolarlo, mentre gli altri lo scambiano per un pazzo e ridono di lui.
Nella terza serata, si svolge l’ultima apparizione e il processo con rogo a Norfieddu che descrive in una grottesca parodia il confronto tra il bello ed il brutto, il buono e cattivo, l’ancestrale ed il contemporaneo.
Le sei maschere tipiche (Suspettosu, Intragneri, Oghiànu, Indiferenti, Corriatzu e Sabiu) e le rispettive vittime danno il via al corteo, al processo, ed al rogo. L’inquisitore processa e condanna Norfieddu perché colpevole di tutti i mali, tra cui aver plagiato quattro vittime (tzia Pipia, tzia Isposa, tzia Mamma e tzia Viuda).
In realtà i colpevoli sono l’Inquisitore e le altre maschere, mentre il povero spirito cercava di difenderle, e il popolo, ignaro di tutto, continua a crederlo colpevole; la Dea Madre, invece, protegge lo spiritello, sostituendolo con un fantoccio che andrà al rogo al suo posto, illudendo così la gente di essersi liberata dei mali, e appagando lo spirito negativo delle maschere tipiche, che dopo il rogo faranno ritorno nell’inverno.
In questo modo anche gli atteggiamenti negativi delle persone ritorneranno nella normalità, senza gli eccessi manifestati in questo periodo.
"Norfieddu scancioffau d'anti abbruxau" sancisce la popolazione all'unisono, e se ne torna a casa a prepararsi per la Quaresima.
Lo spirito di Norfieddu ritornerà quindi il prossimo inverno, dopo l’estate, l’autunno e con il suo spirito libero darà inizio alla primavera, alla rinascita della terra e della gente.